STEFANO BENASSI
Docente di Estetica dell'Università di Bologna
IL FARE ARTISTICO COME FARSI INFINITO
Uninteressante immagine che focalizza il problema della poiesis è quella che Trione, nel suo libro Ars combinatoria, ci offre attraverso le parole di Leibniz.
Leibniz argomenta intorno alle potenzialità del discorso e alle sue modalità: le figure del discorso costituiscono una sorta di mondo a se stante, un territorio, diciamo così, che in qualche misura può essere considerato abitato come questo reale nel quale siamo, da creature viventi, da animali e così via. Questo mondo che viene a configurarsi nel discorso, anzi che il discorso configura e disegna, è come un giardino pieno di piante, è come uno stagno pieno di pesci, e ogni ramo della pianta, ogni goccia dei suoi umori, è a sua volta un altro giardino, un altro stagno.
La dimensione leibniziana ci presenta unimmagine di microcosmo e ogni elemento di questo piccolo microcosmo rimanda a quella che è la totalità del tutto. Sono questi gli aspetti di una nozione che Trione esamina nellintero contesto del volume, che è quella dellarmonia: lidea che la dimensione nella quale si prefigura il poiein sia una dimensione armonica nella quale la costruzione di un mondo, che viene a dotarsi di una sua propria realtà rispetto al mondo reale, è una costruzione in cui ogni parte rimanda al tutto. Quindi una dinamica di relazione non totalizzante, nel senso che ogni parte non viene schiacciata dalla totalità, ma si relaziona alle altre parti: ciò costituisce la totalità significativa. Diversamente dal sistema hegeliano, per esempio, in cui è la totalità a dare significato e senso ad ogni elemento particolare, qui spetta alle modalità di relazione con cui i particolari si connettono tra loro dare senso alla totalità e viceversa, in un rapporto di reciproco scambio. Mi sembra, questa, una nozione che diviene importante soprattutto nel momento in cui, nelle ultime pagine, Trione differenzia quelle che sono alcune possibilità di distinzione dellambito della poesia, o comunque del fare artistico, da una produzione di fatto. Il fare artistico non è una produzione di fatto, è una produzione che deve essere considerata nel suo farsi infinito: se considerassimo la dimensione dellarte soltanto come fatto, allora basterebbe, per quello che riguarda una riflessione metodica più generale di tipo estetico, consolidare una tipologia di posizioni, oppure promuovere hegelianamente una sorta di paradigmatica topologia dei fatti dellarte. Ora, così non è, perché larte costituisce una dimensione che non si dà come fatto. Da che cosa nasce questa dimensione? Largomentazione prende le mosse dal mondo antico, analizzando alcuni rapporti fondamentali che riguardano la dimensione matematica nella sua dinamica combinatoria, da un lato, e, dallaltro, la dimensione che da Platone, attraverso Plotino, si prefigura, attraverso anche lanalisi e lapprofondimento dei filosofi medievali, come una dimensione dellontologia della luce. La potenzialità conoscitiva che si dispiega qui è quella di una dimensione metaforica, la luce, una modalità di sapere che si articola e si diffonde senza palpabilità su tutte le cose e le relaziona ad ununità più generale. Nello stesso tempo, è in essa presente la potenzialità della dimensione matematico-numerica di dar luogo a una combinatoria che costruisca una realtà in cui insieme, questi aspetti, si fondono e si costituiscono. Questa dimensione dà luogo a diverse costruzioni, a diverse modalità dinterpretazione. E dallars combinatoria di Lullo al De umbris idearum di Giordano Bruno questa dinamica di relazioni e di rapporti costituisce una sfera allinterno della quale ogni elemento trova la sua collocazione, in cui ogni parte è costitutiva e rimanda alla relazione complessiva con la totalità da cui prende significato e cui dà nello stesso tempo significato e senso. La costruttività, da un lato, e la metaforicità, dallaltro, sono le due linee lungo le quali si proietta il discorso sulla poiesis che si articola in maniera estremamente vasta allinterno di questo testo, prendendo come punto di riferimento non soltanto la dimensione antica della filosofia platonica e neoplatonica, ma via via ampliando la propria prospettiva fino a comprendere quelle che sono alcune posizioni fondamentali della dimensione della modernità, a partire dal barocco e dal modo in cui il barocco tratta il problema della costruttività e, soprattutto, il rapporto, che si ritroverà anche successivamente, tra modalità costruttive e decostruttive del fare. Il punto chiave è anche lo studio di Deleuze su Leibniz, ne La piega: la dimensione nella quale il barocco propone la propria formulatività artistica è quella della curva, quella di una modalità in cui lo sguardo si perde e viene catturato allinterno di una dimensione nella quale è difficile ritrovare una chiarezza, una linearità così come era stata prospettata nel mondo umanistico e rinascimentale. Nel barocco questa chiarezza e linearità è in qualche modo inscritta allinterno della piega, è da ricercare, è in qualche misura una modalità nella quale noi ci troviamo coinvolti, nella quale noi stessi perveniamo a costruire, insieme allopera, un mondo, un fare completamente nuovo. Questa potenzialità può essere rintracciata anche nella dinamica di costruzione filmica: non a caso Trione fa riferimento ad Ejzenstejn per questo, alla linea movimento che costituisce una modalità con la quale, anche dal punto di vista della riflessione sul montaggio filmico, la chiave di comprensione è ancora una volta quella della potenzialità costruttiva con cui le immagini si compongono le une rispetto le altre, secondo rimandi continui: ciascun elemento trova una sua significatività di per sé e, nello stesso tempo, acquista significatività nella relazione che si crea con la dimensione complessiva del film. Questa potenzialità della linea movimento di costruzione e decostruzione viene assunta da altri autori. Il riferimento è in particolare a Valéry, cui Trione ha dedicato un volume, e al modo con cui egli, riferendosi anche a Poe e alla filosofia della composizione, ci propone una interpretazione apparentemente matematizzante del de-costruttivismo geometrico della forma, che però lascia spazio a quelle che sono le potenzialità, invece, di costruzione armonica del mondo. La costruzione del testo così precisa, così lineare, così geometrica, che spesso è stata rimproverata a Valéry, perché sembra accostarlo a una formulazione di tipo positivista, in realtà apre lo spazio per potenzialità nuove della poesia: la dimensione, nella quale si dispone questo tipo di lettura, è quella che privilegia lelemento della forma, non intesa però in senso restrittivo e cogente, come se lelemento sensibile venisse catturato e racchiuso allinterno dellopera: esso diviene altresì un elemento di esplorazione e la forma metafora aperta, metafora infinita, modalità nella quale si dà il formarsi dellarte in un continuo sviluppo. Questo ci riporta, ancora una volta, ad una dinamica di relazione antica, direi, che è in parte citata nelle prime pagine del testo. È quella che muove da un lato da Platone, dallaltro da Aristotele. Nella dimensione platonica larte viene vista in rapporto mimetico con un mondo di verità che è costituito dalle idee, trascendente rispetto a quello nel quale larte si muove e di cui larte è appunto imitazione di secondo grado. Però, se analizziamo alcune modalità con le quali Platone propone il problema della costruttività artistica, soprattutto nel Timeo, ma anche nel Filebo, dove si parla della figura dellarchitetto costruttore e dove, anzi, la figura dellarchitetto costruttore è la figura di artista che meglio può conciliare la dimensione matematica con la dimensione sensibile, ci troviamo di fronte a un Platone che legge la modalità della produzione artistica in un altro modo, cioè secondo le modalità con cui larte costruisce o può costruire un mondo nel quale si connettono insieme laspetto intellegibile e laspetto sensibile, in cui luno rimanda allaltro, in una dimensione formale dove la dinamica di relazione tra i due aspetti, tra la dimensione particolare del sensibile e la tendenza alluniversalità dellintellegibile, si compenetrano luno con laltro. Dallaltro, abbiamo lindicazione aristotelica della Poetica di considerare lopera come un organismo vivente e quindi lidea che lopera costituisca una totalità a se stante, in sé compiuta, dove, come dice Leibniz, ogni elemento, ogni parte rimanda al tutto e viceversa. Queste due modalità di definizione e di costituzione dellopera permangono, nella nostra cultura, pur avendo modalità di esplorazione assai diverse, nel corso delle epoche, ma emergono ancora fortemente nel 900, in cui la problematica della forma artistica emerge non più come potenzialità di definizione di un campo specifico (larte rispetto alla scienza, alla filosofia ecc.), ma come potenzialità di esplorazione e costruzione di un mondo. Da questo punto di vista, la partizione dei generi che assegna un campo specifico alla prosa scientifica, un altro alla poesia e un altro ancora allargomentare filosofico (nelle modalità in cui il positivismo aveva posto il problema, cioè una canonizzazione molto precisa di quelle che sono le diverse modalità delloperare dellarte) viene a cadere in ordine ad una potenzialità della forma che diventa capacità di esplorazione della realtà e modalità di interrelazione tra diversi generi di scrittura. Così non esiste, in un certo senso, al di là di quella che è la specificità della formulazione argomentativa dei linguaggi particolari, una modalità di esplorazione scientifica diversa da quella che può essere una modalità di esplorazione poetica, ma la relazione tra luno e laltro campo si costruisce con un ponte in cui è il poiein che emerge. Poiein che si fa non soltanto forma e apertura di un mondo, cioè modalità di costituzione di un organismo vivente, modalità di costituzione di una dinamica nella quale ogni elemento prende corpo rispetto agli altri, ma si propone come potenzialità di definizione di un territorio complessivo, allinterno del quale è la scrittura a costituire la propria vera significatività.