ORNELLA CUCUMAZZI
Presidente dell'Associazione Il secondo rinascimento di Bologna
DI UNA SCRITTURA SENZA SOGGETTO
Come pensare? Come fare? Come scrivere? sono le tre questioni che hanno fatto la vicenda della poiesis nella civiltà occidentale e di cui Aldo Trione, nel suo testo denso e incalzante Ars combinatoria, ricostruisce il percorso nella riflessione filosofica ed estetica dal Cinquecento al Novecento (o come scrive lautore: dagli albori della modernità alla nostra età del disincanto, di cui non sempre riusciamo a individuare le direzioni possibili).
Se la domanda su come avvengono le cose (ovvero su come pensare e come fare) ha cominciato ad articolarsi nel primo rinascimento, con il secondo rinascimento, con la cifrematica, si è posta in maniera esplicita la questione della scrittura come esigenza di un compimento delle cose, scrittura come approdo del fare inventivo alla cifra e alla qualità, in cui la poiesis diventa pragma. Rintracciando queste tre interrogazioni nel testo occidentale ed elaborandole a partire dallinvenzione freudiana dellinconscio, la cifrematica afferma che il pensare, il fare e lo scrivere non sono naturali, né soggettivi. Linteresse del libro di Trione sta, appunto, nellaver individuato i momenti della riflessione intellettuale in Occidente in cui si è avvertito che lindagine sulle strutture del pensare e del fare conduceva a un differente statuto delloggetto e alla scomparsa della soggettività.
Un primo passo in direzione della perdita del carattere naturale delloggetto viene rintracciato da Trione nella riflessione dei pitagorici, con cui ha cominciato a farsi strada lidea del carattere astratto delloggetto attorno a cui ci si interroga. Loggetto astratto dei pitagorici è il numero, che essi concepiscono come lessenza delle cose, ciò che dà loro una configurazione e tesse la trama delle loro relazioni. Già qui la concezione astratta del numero non esula dal riferimento alla materia. Infatti, il numero non è il concetto puro esposto agli esiti idealistici o empiristici. Per i pitagorici, invece, lidea del numero astratto è da intendersi come capacità di adattare intuizioni comuni dellintelletto a qualsiasi numero realmente esistente (Giamblico). Essi pongono, in tal modo, la combinazione, cui accennavo prima, tra le operazioni del pensiero e lordine materiale delle cose, per cui riconoscono al calcolo un valore creativo e inventivo. Ciò equivale a dire che il pensiero, operando mediante astrazione, non si doppia sulla materia: cè materia del pensiero, materia dellidea, materia delloperazione. Così, secondo Trione, lattenzione dei pitagorici alla ricerca delle essenze incorporee non ha mancato la connessione con la vita della polis: giungere a scorgere lordine e larmonia tra le cose conferisce la saggezza per il buon governo della città e della famiglia, per la conduzione degli affari e della politica.
Con la filosofia pitagorica emerge una concezione della matematica come scienza che più di ogni altra è in grado di essere guida per le altre. La sua operatività creativa, che la rende superiore alle altre scienze, deriva proprio dal carattere astratto del suo oggetto, che consente di estenderne le procedure alla considerazione di un numero sempre maggiore di eventi, anche non necessariamente di ordine matematico. Un tale oggetto, scevro da ogni riferimento alla sensibilità, non solo garantisce il rigore del calcolo, ma comporta un incremento di creatività, svincolando dalle pastoie del senso comune. Questo principio si affermerà solo nellOttocento, comportando unaltra importante acquisizione: laffermazione, cioè, che gli assiomi non siano più i principi primi la cui evidenza era provata induttivamente (tramite, quindi, il riferimento al mondo empirico), bensì proposizioni scelte per motivi intrinseci alla ricerca e di cui importavano essenzialmente le conseguenze che potevano trarsene. Il riferimento alle conseguenze sposta laccento sullaspetto poietico (o pragmatico) della ricerca, che fa sì che lastrazione non rimanga fine a se stessa, ma esiga un compimento nel pragma. Di qui si delinea una combinazione tra calcolo e immaginazione che estende la capacità inventiva della scienza e la pone in connessione con larte.
Il differente statuto delloggetto comporta, come si vede, unaltra logica, una logica fantasmatica, in cui a operare è lidea, non il soggetto. Nella logica fantasmatica, il fantasma o lidea, per via di combinatoria, offre un apporto perché nel linguaggio possa articolarsi la differenza. Il permanere della credenza nella soggettività mantiene, invece, lidentità a sé del pensiero e delle parole. Listanza di questa altra logica comincerà ad affermarsi già nel Cinquecento con Giordano Bruno e, successivamente, sarà portata avanti da Leibniz. Entrambi hanno avvertito che per la vera conoscenza delle cose non basta la ragione ed entrambi hanno elaborato unars combinatoria che, lavorando su simboli, doveva porre il pensiero in condizione di giungere alla trovata e allinvenzione. Non cè automaticismo magico in questo, ma cè sicuramente un riferimento alla macchina, prima, e allautoma, poi, ossia un riferimento allassenza di soggettività nel pensare e nel fare. Con lautomazione, il fare non è soggettivo, ma temporale.
In Lebniz, poi, la conoscenza delle cose fondamentali, cui lars combinatoria dovrebbe condurre, si situa esplicitamente in un orizzonte poietico. Gli uomini scrive Leibniz saranno finalmente davvero operosi quando apparirà non più difficile il ragionare del parlare [
]; quando nel parlare, per la forza stessa delle frasi, la lingua precorrendo la mente, i non esperti pronunceranno proposizioni mirabili, meravigliandosi essi stessi della propria scienza. Per la forza stessa delle frasi: il rilievo è importante perché riguarda lascolto, cui lo stesso Trione accenna parlando di Agostino. Il pensare e il fare esigono lascolto. Senza ascolto non si avverte come vanno disponendosi le cose: mancano, dunque, gli elementi per la riuscita del fare, perché la poiesis si traduca in pragma, approdando al piacere e alla soddisfazione.
Il venir meno della soggettività e della naturalità del mondo è indicato ancora da Trione nel riferimento allestetica barocca, alla quale è sottesa lidea di un universo in continua trasformazione e nella cui produzione artistica limmagine si fa continuamente altra: di qui, lattenzione del barocco al teatro. Il mistero che la forma nasconde riposa nel trucco, nellartificio. Laccento posto sullartificio, che toglie ogni naturalità alle cose, annuncia un distacco dellartista rispetto al proprio fare. È un fare che, servendosi di [
] una straordinaria molteplicità di figure simboliche e allegoriche, è rivolto allinventio perenne, alla costruzione di eventi fantasmatici.
Lantiumanesimo radicale della modernità approda alla questione della scrittura in epoca più recente, con Valéry, che esplora limpero del pensiero, si interroga sulle strategie del fare, si tormenta sullidea di una scrittura che conduca a vedere, a precisare, a prolungare, non a duplicare ciò che è stato. Egli avverte, quindi, listanza di una scrittura che non sia mera riproduzione di ciò che è, ma rilasci un messaggio, si dia come evento da cui procedono effetti di trasformazione. Evento soggettuale, non soggettivo. Evento di parola, in cui la parola sopravanza lautore. Trione cita al riguardo Mallarmé, che parla di sparizione elocutoria del poeta, in quanto liniziativa è lasciata alla parola. Questo sancisce e radicalizza il distacco tra lartista e il suo fare. Lautore risulta così un nome, non più un soggetto, si trasforma, già nel pensiero di Foucault, nella funzione-autore: si tratta, scrive Foucault, di togliere al soggetto il suo ruolo di fondamento originario, e di analizzarlo come una funzione variabile e complessa del discorso. Funzione di nome, funzione sintattica, non soggettiva, dice la cifrematica. Anteriormente a Foucault, ma ben presente nella sua riflessione, Nietzsche aveva annullato il soggetto interpretante, aprendo la via a una scrittura senza mondo: cè solo il divenire neutro dellinterpretare stesso. La scomparsa del mondo, come scomparsa dellordine statico delle cose, del quadro in cui le cose avrebbero una disposizione definitiva, non ha necessariamente esiti nichilistici. Rimane la funzione del nome nella parola, rimane la parola poetica, rimane la scrittura. Scrive Trione nella conclusione del libro: la parola poetica non dice il mondo: essa si dà come metafora infinita, che consente di intravedere le cose. La scrittura mantiene lenigma, ma non per questo cè la chiusura nellineffabile. La parola poetica si dà come lavoro creativo incessante, come gioco, la cui produzione di senso, sapere e verità non lascia soccombere di fronte al niente dellesistenza.