Numero 2 - I Nuovi Media

dell'arte, dell'impresa, della finanza

Quadrimestrale, Spedizione in abbonamento postale

EDITORE: Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Questo giornale convoca intellettuali, scrittori, scienziati, psicanalisti, imprenditori sulle questioni nodali del nostro tempo e pubblica gli esiti dei dibattiti a cui sono intervenuti in Emilia Romagna e altrove, per dare un apporto alla civiltà e al suo testo.
ROBERTO FRANCESCO DA CELANO
scrittore, informatico

IL PADRE, L'ARTISTA, INTERNET

Le telecomunicazioni sono un’era in cui l’arte e la cultura sono a disposizione di decine di milioni di persone.
Ma vi è chi, più attento al costume dell’epoca che alla novità del tempo, ha utilizzato Internet e gli altri media per vivere quasi in simbiosi con il gioco Il Grande Fratello, che nulla ha a che fare con quello inventato da George Orwell nel libro 1984. Ebbene, in questo irriverente qui pro quo di fratelli, ci siamo forse dimenticati del padre?
Da sempre abbiamo avuto a che fare con l’invisibile, con l’incomprensibile. Chi ha paura parlerà di paure, chi è ottimista vedrà intorno a sé un mondo ideale… Ma l’arte non ne vuole sapere di bene o di male, di giusto o di sbagliato, di reale o virtuale. Scrive Okakura Kakuzo, nel Libro del tè: “Non dicendo tutto quello che ha da dire, l’artista lascia all’osservatore la possibilità di completare la sua idea, e così i grandi capolavori avvincono l’attenzione di chi li osserva finché non si diventa almeno per un attimo parte della stessa opera d’arte”. Qualcosa “provoca, questiona, ciarla”, scrive Armando Verdiglione nel Processo alla parola, “…mai immobile, mai inerte. Insituabile. Lascia cadere. Lascia riflettere. Lascia fare”.
Carlo Formenti, nel suo libro Incantati dalla rete, scrive: “Da Platone a Heidegger, si è incessantemente alimentata ‘una metafisica della presenza’ come ambito della chiarezza, del dispiegamento e della disponibilità… fino a tramutarsi da gesto di apertura, di emergenza dell’altro e dell’inatteso, a luogo di chiusura, di identità impermeabile e trasparente”. Potremmo affermare che l’attuale massima trasparenza e chiarezza è costituita dalla prigione in cui i partecipanti al gioco del Grande Fratello sono rinchiusi? Viviamo in un’epoca che ha il terrore dei vuoti, che non vuole lasciare vuoti e che è ossessionata dal riempire e riempire. Con quest’idea fissa, sono mal viste le pause, gli intervalli: perfino il tempo cosiddetto libero deve essere un tempo occupato a liberarlo dall’occupazione. Non possiamo nemmeno sorprenderci se nascono le nuove teologie informatiche di un dio computer o del suo opposto, di un dio contrario al computer. McLuhan nel Villaggio globale scriveva: “Le società ‘più deboli’ non invadono le società ‘più forti’ con le armi, ma infiltrandosi in esse”. Ecco il fenomeno del luogo comune: deboli fratelli che invadono la società con lamenti per un padre perduto, lasciato, dimenticato, ucciso. “Un certo giorno i fratelli scacciati si riunirono, abbatterono il padre e lo divorarono, ponendo fine così all’orda paterna. Uniti, essi osarono compiere ciò che sarebbe stato impossibile all’individuo singolo”. La metafora di Freud in Totem e tabù è riscontrabile nella vita: “…i due elementi propulsori, il senso di colpa del figlio e la sua ribellione contro il padre, non si estinsero mai”.
Se così fosse, perché questa generazione sarebbe più vulnerabile rispetto alle precedenti? Non è facile rispondere, se non con una serie di luoghi comuni, che vanno dalle nuove tecnologie, che non c’erano prima, al benessere, che è conquista attuale per l’occidente. Tuttavia, è la prima volta a memoria d’uomo che ci sono cittadini di una comunità globale, di una città planetaria, che hanno abolito i territori e che prolificano nell’invisibile. È la prima volta che si parla di mutazioni, di copie senza originale. Come scrive ancora Formenti, “si assiste a una autonomia del simulacro, concepito come copia senza originale”. Se aggiungiamo poi che “l’artista cede una consistente quota di ‘creatività’ al mezzo tecnico di cui si serve”, non è difficile arrivare alla sensazione di essere padroneggiati dalla macchina, in un vuoto di valori, in cui la macchina stessa diventa il punto di riferimento, stabile come Dio, perfetto come Dio.
Ci siamo dimenticati del padre?, di quel padre che avrebbe dovuto suggerirci la legge, che purtroppo tende a svanire tra i chip e le chat, in cui nessuno ha un nome, ma un soprannome, in cui ognuno può anche cambiare nome e sesso, esplorando un’improbabile uguaglianza fra cittadini globali?
Che cos’è essere un padre? Non si tratta di una domanda oziosa, dal momento che l’invenzione dei computer non ha abolito la funzione di padre. Lacan, nel Seminario La relazione d’oggetto, ci risponde: “Questa questione è un modo per affrontare il problema del significante padre, ma non dimentichiamo che, in fin dei conti, si tratta anche del fatto che i soggetti lo diventano, padri. Porre la questione cos’è un padre? è ancora un’altra dall’essere noi stessi un padre, dall’accedere alla posizione paterna. Guardiamola da vicino. Se è vero che per ciascun uomo l’accesso alla posizione paterna è una ricerca, non è impensabile dire che, alla fine, mai nessuno lo è stato veramente in modo completo”. La funzione del padre, quindi, è qualcosa che si trova già nel gioco della vita, “a permettere al bambino di conquistare la via, attraverso cui si depositerà in lui la prima iscrizione della legge” .
Non a caso, l’epoca del luogo comune è anche un’epoca di valori contestati o inesistenti, di faciloneria imperante, di cultura compiacente della sottocultura, di oggetti status symbol, d’insegnanti improvvisati o impreparati loro stessi. È l’epoca della New Age, in cui ognuno crea il suo Dio, si avvicina alla magia e non sembra trovare ostacoli alla propria volontà onnipotente.
Se la produzione ha a che fare con l’autorità e quindi con il padre, se l’archiviazione ha a che fare con la memoria e quindi con ciò che sfata l’archiviazione, in quanto immemorabile, in quanto memoria della parola, allora, l’artista deve riprendere il suo percorso d’impegno, di preparazione e di travaglio, avvalendosi del computer e non delegando al computer.
Il luogo comune vive di ricordi. La memoria, invece, riguarda ciò che non è mai stato e che si ripete. E si tratta sempre di memoria della parola. L’archivio – e sopra tutto nell’arte – fa appello alla memoria, non al ricordo, proprio perché non richiede la contemplazione, ma la lettura fra le righe. L’artista produce l’opera d’arte e l’archivia in un supporto digitale e in Internet, affinché ci siano innumerevoli racconti per tante persone che raggiunge. In questo modo non smette mai di raccontare. In questa incessante impresa, si può intendere ciò che non è mai stato e che tuttavia si ripete. Jorge Luis Borges nel suo libro L’Aleph, ritrovando un’antica poesia, scriveva: “Singolare beneficio della poesia: le parole scritte da un re che anelava all’Oriente servirono a me, esiliato in Africa, per esprimere la mia nostalgia della Spagna”.