PETER DÜSBERG
Docente di Biologia molecolare, Università di Berkeley CaliforniaIL CANCRO: QUESTIONE DI CROMOSOMI, NON DI GENI
Intervista di Anna Spadafora
Perché oggi il suo interesse è rivolto principalmente al cancro, dopo anni di studi sull’Aids?
Fra dieci anni mi occuperò dell’Alzheimer, dopo avere lottato per oltre quattordici per sfatare la teoria virale dell’Aids e la teoria che attribuisce agli oncogeni (geni cancerogeni) la causa del cancro.
Se leggiamo la letteratura scientifica, vediamo che all’inizio del ventesimo secolo si riteneva che a causare il cancro fosse una mutazione nel numero dei cromosomi, rispetto al numero di 46 cromosomi della normale cellula somatica umana, mentre la mutazione dei geni fu proposta a partire dal 1927. Ma la prova che a causare il cancro siano i geni non c’è stata. Nel 1927, in Texas, ci fu la spettacolare scoperta di Herman J. Muller: i raggi X risultavano mutageni, giacché mutavano i geni della drosofila. Muller (tra l’altro premio Nobel nel 1946, proprio grazie a questa scoperta) scrisse un articolo proponendo che il cancro si spiegasse negli stessi termini, cioè che fosse una mutazione del gene, se anche i raggi X possono mutare i geni. Mendel, Morgan e altri genetisti prima di Muller avevano sempre constatato mutazioni spontanee, ma ora si poteva mutare sperimentalmente un animale e vedere che cosa fosse cambiato nella cellula. Era il 1927, e fu una cosa di primaria importanza in genetica, tanto che tutta la ricerca sul cancro passò immediatamente dai cromosomi ai geni.
Oggi, di fatto, i cromosomi sono dimenticati nell’eziologia del cancro, ma l’ipotesi dell’aneuploidia, cioè il numero di cromosomi differente, non è stata confutata e nessuno si preoccupa di confutarla, dato che non se ne parla più. Perciò, non ho smesso di occuparmi dell’Aids, ma pensò che per trovare la causa del cancro dobbiamo riconsiderare l’ipotesi della mutazione del numero dei cromosomi, piuttosto che quella della mutazione genetica.
Che cosa causa l’aneuploidia?
Tutti i cancerogeni (agenti cancerogeni). Tra l’altro, fra i principali cancerogeni il più noto è costituito dai componenti del catrame: producono il cancro alla pelle dei lavoratori degli oli minerali, nell’industria del petrolio, pur essendo di per sé inerti. E non sono mutageni, cioè non sono in grado di mutare un gene. Il fegato li ossida con speciali enzimi per renderli solubili e secernibili. Questi prodotti dell’ossidazione sono mutageni modesti, modestissimi, o possono anche non esserlo, eppure sono eccellenti cancerogeni. Il numero dei cancerogeni non genotossici è cresciuto fin quasi a raggiungere la metà di tutti i cancerogeni noti. Il nichel, l’arsenico, un colorante giallo per il burro e la margarina, gli oli minerali, l’idrazina, vari ormoni sono tutti cancerogeni, ma non mutageni.
Le cellule cancerose sono sempre aneuploidi?
L’ipotesi che la causa del cancro sia la mutazione del gene prevederebbe che la maggioranza delle cellule cancerose fosse diploide, come tutte le cellule. Se cambiassimo una bionda in una bruna, non diremmo che è cambiato il numero dei suoi cromosomi, ma che è cambiato il suo gene del colore. Invece, ogni volta che abbiamo esaminato una cellula cancerosa, di qualsiasi forma di cancro solido, non ci è capitato finora di vederne una diploide. Sono sempre aneuploidi. Perché mai sarebbero sempre aneuploidi se la causa del cancro fosse la mutazione del gene?
Ma allora perché l’ipotesi dell’aneuploidia è stata dimenticata?
Essenzialmente per una ragione: solo quando fu abbastanza sviluppata la pseudogenetica la scienza che osserva i cromosomi, li analizza accuratamente al microscopio, cercando di capire se sono in ordine o no , solo allora imparammo a contare i 46 cromosomi. Questo avvenne verso il 1950, precisamente, nel 1956 Albert Levan scoprì il corretto numero di cromosomi di un uomo. Così, imparammo a contarne 46, tre anni dopo la scoperta della struttura del DNA e, più o meno, trent’anni dopo la scissione dell’atomo di uranio da parte di Hahn. Quando la conta dei cromosomi divenne routine e si poté farla accuratamente, osservando uno, due, tre casi di cancro al colon, si trovò che nei vari casi di cancro c’era un numero di cromosomi sempre differente e sempre fuori della norma (i cromosomi erano, per esempio, 96 in un caso e 95 in un altro). Erano tutti casi di cancro al colon, ma non c’era lo stesso numero di cromosomi.
Sorgeva dunque la questione del cariotipo del cancro al colon. Ma l’osservazione permise di andare oltre. Quando la tecnica si sviluppò ulteriormente, divenne possibile osservare centinaia di cellule di uno stesso cancro al colon: risultò che ce n’erano molte con un numero di cromosomi differente. C’era un numero anormale medio, che venne chiamato “numero di cromosomi modello”. Per esempio, in un cancro al colon la maggioranza delle cellule aveva circa 76 cromosomi, ma, osservandone altre, il numero era 74, 75 o 82, 83, era un’intera gamma di numeri fuori della norma.
A questo punto, la causa non poteva essere l’aneuploidia, perché sarebbe stata una causa eterogenea. Gli scienziati vogliono ridurre tutto a una stessa causa. Ora, in che modo cariotipi così differenti possono avere generato cellule mutate? Se questa fosse la causa, dovrebbe essere la causa uniforme che ha trasformato la cellula originaria in una cellula cancerogena. Perciò, l’aneuploidia doveva essere una conseguenza, non la causa. Così, l’ipotesi dell’aneuploidia fu abbandonata, dato che, al contrario, le mutazioni dei geni erano spesso clonali. Quando si osservava un cromosoma X, materno o paterno, in una leucemia o in un cancro, quello era sicuramente identico in tutte le cellule cancerogene. Se si trovavano uno o due cromosomi con quella mutazione, pazienza. Questa è la principale ragione per cui l’ipotesi dell’aneuploidia fu non soltanto abbandonata, ma anche dimenticata.