Numero 3 - ARTE E CULTURA DELLA POLITICA

La battaglia, la tranquillità

Quadrimestrale, Spedizione in abbonamento postale

EDITORE: Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Questo giornale convoca intellettuali, scrittori, scienziati, psicanalisti, imprenditori sulle questioni nodali del nostro tempo e pubblica gli esiti dei dibattiti a cui sono intervenuti in Emilia Romagna e altrove, per dare un apporto alla civiltà e al suo testo.
ALEKSANDR JAKOVLEV
ex membro del Politburo del CC del PCUS, artefice della perestrojka, presidente della
Commissione presidenziale per la riabilitazione delle vittime della repressione politica

UN REGIME FASCISTA DI TIPO RUSSO

Carlo Monaco ha accennato a un problema d’importanza mondiale: come il mio paese sia riuscito a risolvere i suoi problemi senza ricorrere al sangue. Mentre ero in Canada come ambasciatore sovietico, avvertivo che era necessario cambiare tutto, sia nella politica interna sia in quella estera, altrimenti sarebbe stata una catastrofe. Soprattutto negli ultimi anni, il paese sembrava concentrato sul problema della sopravvivenza, su come uscire indenne da una crisi che stava diventando pericolosa. Il problema fondamentale che accomunava la mia preoccupazione e quella di Michail Gorbaciov era come riuscire a farcela senza spargimenti di sangue, senza arrivare alla guerra, come invece era avvenuto nella controrivoluzione del 1917, che aveva causato dodici milioni di morti.
Allora, siamo arrivati a una conclusione che dal punto di vista etico forse non era delle migliori, ma da quello pratico era l’unica possibile. Abbiamo stabilito che sarei rientrato in patria prima possibile e sarei stato nominato capo dell’Istituto di politica mondiale e rapporti internazionali. Non c’era altra possibilità di fronte alla crisi che stavamo affrontando. L’importante era decidere e decidemmo di prendere una direzione: dovevamo fingere di fare qualcosa che in realtà non avremmo fatto.
Per esempio, dovevamo dire alla gente che eravamo per la riforma del socialismo, anche se non avevamo nessuna intenzione di attuarla. In questo modo, con questi specchietti per le allodole, proposti alla gente per avanzare, abbiamo incominciato a “sbocconcellare” il regime, abbiamo incominciato a piccoli passi, per non dare l’impressione che volessimo dirottare troppo e per non creare il panico. Per esempio, io ho mandato al Comitato Centrale una direttiva in cui dicevo di smetterla di esaminare le lettere anonime. Dovetti scrivere una seconda e una terza volta, prima che il Comitato si decidesse a smettere questa pratica: l’ottanta per cento dei detenuti condannati nei lager si trovava lì solo in seguito a denunce anonime. Questo per fare un esempio della nostra tattica: “sbocconcellare” il regime, pezzetto per pezzetto. Era necessario essere astuti e conquistarsi pian pianino, un po’ alla volta, un sempre nuovo piccolo spazio di libertà.
Nel giro di qualche tempo, ci rendemmo conto che era giunto il momento di istituire una commissione che si dedicasse alla riabilitazione delle vittime della repressione politica. E non ci fu nessuna protesta, perché si resero conto che era una decisione presa in seguito alle conclusioni dell’ultimo Congresso. La Commissione venne creata, ormai ha dieci anni e io da allora ne sono presidente. In questo arco di tempo siamo riusciti a riabilitare più di quattro milioni di condannati politici. Anche se abbiamo riabilitato soltanto coloro che avevano subito una regolare condanna. Purtroppo, restano fuori tutti quei milioni di condannati che sono finiti nei lager e nei campi di concentramento senza un vero e proprio processo.
Francesco Benvenuti ha ragione: ci sono molte contraddizioni nel mio libro, io stesso sono una contraddizione. Ma occorreva mostrare le contraddizioni, anche se ripensare i propri punti di vista può essere estremamente difficile e penoso, perché si vorrebbe presentare se stessi sempre in una luce diversa. La mia intenzione era quella di esprimere ciò che sentivo e pensavo, nei vari punti del mio libro.
Nel 1917, in Russia non c’è stata una rivoluzione, ma una controrivoluzione. Un secolo dopo, volevamo dimostrare che il nostro è stato un regime fascista di tipo russo. Nel nostro paese non c’è stata una dittatura del partito, ma una doppia dittatura: una del partito e un’altra del Kgb. Al Politburo gonfiavano al massimo la nostra presunta potenza e il nostro potere, ma le decisioni erano prese dal Kgb: chi potesse uscire dal paese e chi no veniva deciso non dal potere centrale, ma dal Kgb. Chi approvava la candidatura come membro del Comitato Centrale era il Kgb. Era necessario passare una vera e propria quarantena, un’ispezione del Kgb, che decideva se un candidato poteva diventare membro del Comitato Centrale e alla fine stilava un documento: le decisioni dipendevano unicamente dal tono di tale documento.
Nei miei libri non sono sotto accusa il comunismo e il socialismo, ma il bolscevismo, l’ideologia che ha applicato il terrore della rivoluzione francese e la seconda fase di Marx, quella della rivoluzione violenta, quella secondo cui la soppressione della proprietà privata avrebbe portato la felicità dei popoli, quella che osannava la lotta di classe e la dittatura del proletariato. Il bolscevismo è il sistema di un partito che ha creato un sistema di potere fascista.