| VITTORIO MATHIEU Docente di Filosofia Teoretica e Morale alle Università di Trieste e Torino
LA SCIENZA E IL ROMANZO DELL'EUROPA
Ringrazio per queste presentazioni, che si staccano dalla consuetudine in cui chi presenta il libro non lha letto, quindi non contesta nulla allautore e il dibattito risulta assente. Sergio Dalla Val, invece, non soltanto ha letto il libro, ma ha ripreso una quantità di temi diversi che io stesso non sarei stato in grado di riassumere così in breve. E Carlo Monaco mi ha posto un quesito, quello dellalternativa tra Parmenide e Eraclito. Io credo che Eraclito e Parmenide dicano la stessa cosa: Tutto è uno. Solo, la dicono in due modi radicalmente diversi: Eraclito con il linguaggio della Sibilla, che non dice ma allude. Parmenide con lenunciato ormai tipico: è, non è. Apparentemente, la scienza come tale è strettamente enunciativa: è, non è; ma al tempo stesso è durata, riconoscimento del cambiamento, concretezza. Allora, si deve dire che la scienza è eraclitea? Evidentemente no. Ci sono due modi di affrontare la realtà, due dimensioni da cui guardare la stessa realtà: una è la dimensione che possiamo chiamare enunciativa e laltra è la dimensione che possiamo chiamare rivelativa o ermeneutica. Qual è il pericolo della prima dimensione, quella parmenidea? È che, se ci limitiamo a dire è, non è, passiamo da Parmenide a Gorgia, che dice: Nulla è, se anche è non potrei saperlo e se anche sapessi non potrei enunciarlo. È, dunque, lesito nichilistico di Parmenide, esplicitamente richiamato da Emanuele Severino, per il quale la scienza contemporanea, proprio perché tende a sviluppare la dimensione tecnologico-utilitaristico-applicativa, inevitabilmente sfocia nel Nulla. Ma, come dice Carlo Monaco, questo vale non per la vera scienza, bensì per lo scientismo, anche se negli enunciati degli scienziati sulla scienza lo scientismo riaffiora continuamente. Questo è il pericolo vero che incombe sullEuropa, già evidente nellultima fase della sua storia, quella che possiamo chiamare romantica e che in qualche modo non finisce mai, perché anche le reazioni al Romanticismo continuano a essere romantiche, come il Romanticismo stesso aveva previsto. Al riguardo farò soltanto la strana storia, a ritroso, della parola romanzo, che ha tanti sinonimi, come odissea o avventura. Secondo Federico Schlegel, il romanzo è un libro romantico, e questo sembra un paradosso. Ma notiamo che la parola romantico al tempo di Schlegel era già vecchia di almeno un secolo, si parlava di atmosfera romantica già nel Seicento inglese. Schlegel estrae questa banalità paradossale in quanto la parola romantico era stata applicata anzitutto a coloro che, in senso peggiorativo, chiamiamo protoromantici, proprio perché affascinati da Roma e soprattutto dalla Chiesa di Roma. È, quindi, una parola già nota nel secolo precedente, ma viene usata contro il romantico e a un certo punto i romantici la rivendicano come una loro caratterizzazione, perché si valgono del paradosso: perpetuano la fine accentuandola paradossalmente, al punto che molti romantici pensano di dover scrivere in stato di disfacimento mentale, prodotto anche da stupefacenti. Questo è deliberato. Come mai la parola romantico assume un senso che perdura ancora oggi? Perché perdura il pericolo cui accennavo prima, ossia che, a forza di progredire, rischiamo di fermarci. Come mai questo? Proprio perché il romanzo è un romanzo davventura, e quando dico romanzo davventura risalgo, ben al di là del Seicento, al romanzo cavalleresco: Le roman dAlexandre, che è stato scritto in versi detti alessandrini e parla di Alessandro Magno. Il romanzo prende il nome da Roma e questa, a sua volta, pesca nellellenismo, nel periodo immediatamente successivo allo sfacelo dellimpero dAlessandro. Limpero romano si modella sui regni che seguiranno ad Alessandro, come lEgitto e la Siria, dove limperatore viene divinizzato e cè una forte burocrazia. Lo stato moderno risente enormemente di questa vita, perché nasce dallo sfascio del Sacro Romano Impero. Il disfacimento dellimpero di Alessandro sta nel fatto che Alessandria, la città che prende il nome da lui, non diviene quel centro ideale che per secoli è stata Roma. Anche quando è divenuta un villaggio di pastori, Roma ha continuato ad essere il centro del Sacro Romano Impero. E Federico Barbarossa, che ha cercato di restaurare limpero per lennesima volta, può considerarsi un romantico ante litteram, perché sognava ununità ideale con un centro a Roma. Invece la dispersione ha dissolto il suo sogno. Questo spiega come il romanticismo prenda il nome dal romanzo come romanzo davventura, il romanzo prenda il nome da Roma e Roma prenda questo contenuto dallellenismo. Lo stesso genere letterario del romanzo nasce in età ellenistica e poi prende il nome di romanzo da Roma. La natura della scienza corre questo stesso pericolo, quando si subordina alle sue applicazioni, a un linguaggio che non è più il linguaggio analogico della comunicazione che si fa presente nella sua concretezza, ma è il linguaggio della trasmissione di ordini della cibernetica, che non richiede né la coscienza né la sensibilità né lapprofondimento. Questo è un pericolo, non è il destino inevitabile della scienza, nemmeno la sua vocazione, perché, se la scienza è avventura, è precisamente lavventura di quellUlisse che ideava congegni, macchine, anchegli tipicamente applicativo. Machina in greco significa espediente, per uccidere il ciclope o per conquistare Troia, con quella specie di cavallo cavo che diventa un sottomarino. Ulisse inventa espedienti, ma al tempo stesso riesce a non perdere il centro, cioè a non dimenticarsi del tutto di Itaca, che è il centro ideale a cui poi corrisponde Roma. Da Calipso (la dea che nasconde, calyptei vuol dire nasconde) Ulisse rimane ben nove anni, non un giorno. Di notte dimentica e di giorno ricorda con nostalgia e vorrebbe ritornare. Alla fine Atena, figura mitologica della mente veramente scientifica, non soltanto applicativa, ma al tempo stesso creativa, rigenera in qualche modo Ulisse. La perdita del centro è il rischio dellavventura. E il romanticismo vuole rendersi cosciente di questo pericolo, ma al tempo stesso lo sfida, lo arrischia. Rischia, cioè, precisamente di perdere il centro. E allora, noi dobbiamo imparare la lezione del romanticismo, ma non essere romantici. In qualche modo, dovremmo essere classici. Il tentativo di essere classici è precisamente il rischio romantico. I romantici vorrebbero essere classici. LOdissea vorrebbe essere lIliade, perché questa era già un classico rispetto allaltra. Allora capita che lOmero dellOdissea prenda in giro lOmero dellIliade, lo prenda non troppo sul serio e con ironia cerchi di rimanere classico. Il romanticismo fa lo stesso. E credo che dovremmo farlo anche noi o, perlomeno, dovremmo cercare di conservare una certa ironia. Ironia vuol dire mantenere una certa allusività. Allusività vuol dire giocare rinviando a, ossia rinviando a qualcosa che non si può presentare enunciativamente, come fa Parmenide, ma solo giocando. Attraverso il gioco si rinvia al senso. Se cerco di presentare il senso direttamente, perdo la centralità. Questa è la mia speranza perché si salvi lEuropa, non necessariamente in Europa, perché limportante è che si salvi lo spirito davventura che è lo spirito europeo. Noi spesso rifuggiamo dal rischio, vorremmo lassicurazione e la riassicurazione e così via allinfinito. Ma in questo infinito rischiamo di perderci con il cattivo infinito. Quanto alle annotazioni di Dalla Val sul viaggio infinito, lOdissea termina con una parte che per alcuni è aggiunta, ma ha molto senso in cui, secondo la profezia di Tiresia, Ulisse, prima di morire, deve intraprendere un viaggio per terra fino a quando non trovi una terra ignara del mare. Qui, un tizio, incontrandolo, scambia un remo che Ulisse ha sulle spalle per la pala usata per la pula del grano, a tal punto è ignaro del mare. Questo vuol dire che il mare è la tentazione dellinfinito. Oltrepassare le colonne dErcole significa andare verso linfinito. Il mare come tentazione dellinfinito è ciò che, pur nel merito incontestabile dellUlisse dantesco, lo perde. Lo perde quando arriva quasi al paradiso terrestre, che non può essere raggiunto su questa terra. Potremmo dire che il desiderio dinfinito su questa terra è il desiderio dellEden che in realtà non è a nostra disposizione. Si può, con la fede, aspettarlo nellaldilà. Daltra parte è tradizionale che il viaggio abbia delle regole. Si supponeva, addirittura, che certi pesci, attaccandosi alla chiglia, potessero impedire il viaggio. Se non ci fosse lostacolo, non ci sarebbe neanche il mondo. Come nota Kant, se non ci fosse laria che fa da ostacolo, la colomba non potrebbe volare. Si tratta di riuscire a valorizzare lostacolo, anziché semplicemente contrapporvisi e quindi perdere il movimento.
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