LANFRANCO MESSORIPresidente della casa di alta moda maschile Messori
IL TEMPO, LA MODA, LA DIFFERENZA
Intervista di Margherita Ferrari
Che cosa possiamo dire a proposito della direzione nella sua azienda?
La direzione sta evolvendosi, da un anno è entrato a pieno regime mio figlio e ha assunto la responsabilità di una linea sua, che adesso sta lanciando. Poi, sarà giocoforza che collabori con me e sua madre, perché noi siamo una famiglia unita e l’azienda se ne avvale. Allora, possiamo dire che la direzione si è arricchita di un cervello giovane e questo è importantissimo in un settore come quello della moda.
Voi avete vari clienti del mondo dello spettacolo?
Più che clienti, sono personaggi dello spettacolo che vestiamo per far conoscere il nostro marchio anche al grande pubblico: da Minghi a Branduardi a Sgarbi a De Crescenzo a Faletti. I veri clienti, invece, coloro che comprano i nostri capi e li rivendono al consumatore, sono una nicchia abbastanza alta, non frequentata dal grande pubblico. Per questo siamo lieti di avere dei testimonials per le nostre tre linee: la tradizionale, la Black Label, sartoriale, molto raffinata e la MESSORIGIANMARCO, la linea giovane, lanciata da nostro figlio Marco.
Quanto è presente il vostro marchio sui mercati internazionali?
Già da parecchio tempo, per fortuna, ci siamo spinti all’estero, dove, non a caso, attualmente abbiamo l’ottantacinque per cento del fatturato. Dico per fortuna, perché oggi il mercato italiano, specialmente nell’abbigliamento maschile, soffre parecchio. Uno dei mercati in cui abbiamo spinto l’acceleratore è la Russia, poi c’è la Cina dove noi, anziché andare a comprare come oggi fanno in tanti, cerchiamo invece di vendere , mentre in Europa il nostro miglior mercato è l’Inghilterra.
Forse questo è un indice della qualità dei vostri tessuti, perché gli inglesi sono molto esigenti a questo riguardo.
Sì, tessuti e confezioni fatti in Italia, con i relativi costi del “fatto in Italia”, perché a noi non basta scrivere, come ormai fanno molti, anche grandi nomi della moda, “made in Italy” e poi, se si vanno a vedere le etichette interne ai capi, si scopre che in realtà sono fatti in Romania, Bulgaria, Cina, Corea, Spagna, Portogallo. La nostra azienda è per l’estrema difesa del made in Italy, finché riusciamo e finché possiamo. Non sappiamo che cosa succederà domani, ma oggi i posti di lavoro, anziché essere tagliati, da noi aumentano. Il nostro personale uscirà dalla nostra azienda se vorrà uscirne o se andrà in pensione, non certamente perché noi cambiamo paese di produzione.
Questo numero della rivista s’intitola La bella differenza. Nella moda la questione della differenza è essenziale, si tratta di cogliere ciascuna volta una differenza nel tempo. La moda è quanto di meno statico possa esserci. Può dirci qualcosa della sua esperienza in un ambito così esposto alla differenza?
La differenza c’è sempre, perché le collezioni sono differenti l’una dall’altra, anche se, da venticinque anni, nello stile c’è un filo conduttore che consente al cliente l’identificazione del prodotto. Grazie al lavoro di mia moglie, la stilista Germana Martinelli, il cliente riconosce il prodotto nuovo in vetrina senza vederne il nome, anche se c’è una grande differenza rispetto al precedente, e questa è la forza che ci permette ancora di vendere i nostri prodotti a prezzi alti in vari paesi. La differenza dei nostri capi è insita nei dettagli, nella confezione, nei tagli, nel ricamo, nell’applicazione, nella stampa. Poi, noi percepiamo la differenza proprio nel constatare che il tempo non è mai lo stesso: a volte ci è capitato di proporre un nuovo prodotto che non ha incontrato il favore del pubblico e, a distanza di anni, lo stesso prodotto, magari con una leggera modifica, ha riscosso un grande successo.
Ma la differenza più importante, stagione dopo stagione, resta il “fatto in Italia”, la differenza che oggi si nota maggiormente perché siamo rimasti veramente in pochi.
Tutto si può dire tranne che a voi interessi la via facile.
No, non siamo interessati alla via facile e ne avremmo anche avuto la possibilità nei tempi passati, ma ci siamo arrotolati le maniche e siamo andati incontro a lavoro, sacrifici e impegni; ma anche gioie e soddisfazioni, perché, dopo tanto tempo, mia moglie e io lavoriamo ancora con gioia, amiamo il nostro mestiere, e d’altra parte se non lo ami l’abbigliamento non lo fai.
Perché poi sono diversi la soddisfazione e il piacere che vengono in seguito al lavoro da quelli che invece sono di facile conquista.
È una soddisfazione impagabile andare anche per un viaggio di piacere in un altro paese, in una grande città, e vedere che nella vetrina del tal negozio, nella tal piazza c’è il nostro prodotto esposto, ci ripaga di tanti sacrifici.
È una testimonianza dell’esistenza del prodotto e della validità degli sforzi compiuti.
E la mia signora in particolare ne ha fatti tanti di sacrifici e di sforzi in questi anni di lavoro, perché noi siamo nati con la camicia, non perché l’avevamo addosso ma perché la producevamo e, producendo le camicie, siamo arrivati a un total look raffinato, elegante e adesso anche sartoriale con la Black Label. Ma il nostro obiettivo non si raggiunge mai, perché, nel momento in cui sembra raggiunto il primo obiettivo, ne abbiamo già messi in piedi altri dieci: è una continua rincorsa a raggiungere quegli obiettivi prefissati che però non sono prefissati, perché, strada facendo, ciascun obiettivo si sposta, si allontana, poi viene ripreso e quindi si prosegue. La nostra è veramente una corsa bella, faticosa ma bella. Per raggiungere che cosa? Non lo so, per proseguire il nostro lavoro, proseguire sempre facendo un lavoro che dai clienti e dai consumatori sia apprezzato, come in effetti lo è oggi: riceviamo e-mail e lettere da parte di privati da Londra, da Mosca, da Pechino, persone che ci ringraziano perché hanno comprato il nostro prodotto, lo hanno trovato di qualità e c’incoraggiano a proseguire.