Numero 1 - L'Economia Nuova

La trasformazione nel lavoro, nella vendita, nell'impresa

Quadrimestrale, Spedizione in abbonamento postale

EDITORE: Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Questo giornale convoca intellettuali, scrittori, scienziati, psicanalisti, imprenditori sulle questioni nodali del nostro tempo e pubblica gli esiti dei dibattiti a cui sono intervenuti in Emilia Romagna e altrove, per dare un apporto alla civiltà e al suo testo.
GRAZIANO PINI
Consigliere della Regione Emilia Romagna, docente di Economia Politica

QUALI FINANZIAMENTI PER LE NUOVE IMPRESE

Emilio Fontela ha affrontato nel suo libro in maniera molto originale il tema “Come essere imprenditori negli anni duemila”, definendo uno scenario nuovo con il quale l’imprenditore si confronta: uno scenario globalizzato, in cui le imprese non sono più nazionali o internazionalizzate, ma transnazionali. Talora non si sa più neanche dove esse abbiano la sede, tanto che diventa difficile colpire anche dal punto di vista giuridico un’impresa transnazionale, perché sposta il nucleo decisionale da un paese all’altro con grande facilità.
La globalizzazione determina un mercato più ampio con cui confrontarsi. La società dell’informatizzazione, o dell’informazione, d’altra parte – pilastro della novità dello scenario –, determina una riduzione della cosiddetta asimmetria informativa, con la difficoltà di una equa distribuzione dell’informazione fra i soggetti che partecipano allo scambio, aumenta il volume di informazioni con cui ogni operatore deve trovarsi a che fare, quindi, mette l’imprenditore e ancor di più il consumatore alla prova con questi due fenomeni. Quindi, l’imprenditore del ventunesimo secolo è un imprenditore costretto a essere dinamico e informato, ed è costretto a investire continuamente nella sua impresa, a confrontarsi ogni giorno con nuovi scenari, nuove opportunità di mercato, nuovi competitori e conseguenti nuovi strumenti di marketing.
Come Consigliere Regionale, vorrei riferirmi ad alcune notizie su quanto va facendo la Regione Emilia Romagna per aiutare le imprese, soprattutto le nuove imprese. Prendo ad esempio la nostra regione, ma ormai c’è una omogeneizzazione degli strumenti che rende difficile distinguere fra le varie regioni, per cui, quello che dico per l’Emilia Romagna vale anche per le altre. Sono in atto un sostegno all’insediamento delle imprese che, anche se superato dalla delocalizzazione delle imprese, ha comunque un suo riscontro nei progetti della politica industriale di una regione; un sostegno alla nuova impresa; un sostegno alla nuova tecnologia, attraverso incentivi agli investimenti in ricerca e sviluppo; il sostegno alla carenza di capitale finanziario; il sostegno alla diffusione dei segnali per ridurre le difficoltà informative, che rendono difficile per un consumatore conoscere la qualità dei prodotti – marchi tipici, consorzi, all’interno della certificazione di qualità –; il sostegno al raggruppamento di imprese, perché, come possiamo leggere nel libro di Emilio Fontela, ci sono più vantaggi per un’impresa che fa parte di un insieme, di una rete o di un raggruppamento – anche gli strumenti regionali vanno a supporto del raggruppamento delle imprese –; e, infine, c’è il sostegno alla presenza all’estero.
Ciascuno di questi capitoli individua altrettanti sottocapitoli o paragrafi. Per esempio, per quanto riguarda l’accesso al settore, quindi agli strumenti per i nuovi imprenditori, e per quanto riguarda gli investimenti in tecnologia informatica e telematica, nel 2001 la Regione Emilia Romagna destinerà 35 miliardi che provengono direttamente dal governo nazionale – quindi è un semplice trasferimento –, più altrettanti che provengono dall’Unione Europea, dal cosiddetto Obiettivo 2, e anche risorse proprie. In questo capitolo che riguarda la Legge Sabatini, la 598, sono previsti un centinaio di miliardi a sostegno delle nuove tecnologie informatiche e telematiche, la sicurezza degli impianti e dei processi, la certificazione di qualità e la semplificazione delle procedure. Anche per il credito d’imposta saranno destinati circa un centinaio di miliardi, sia di risorse proprie sia di risorse trasferite dallo Stato; per la nascita di nuove imprese ci sarà un bonus fiscale pari a 10 miliardi; e ogni miliardo messo da una regione determina poi un effetto di moltiplicazione.
Per quanto riguarda le nuove imprese, ci sono Fondi Regionali di Garanzia, che vengono destinati ai Consorzi Fidi esistenti e assistenza tecnica, attraverso una collaborazione con le Camere di Commercio, a laureati, ricercatori, spin-off, in raccordo con l’università – a Bologna, per esempio, c’è un progetto che coinvolge l’Università, la Camera di Commercio e l’Associazione Industriali, che consente di favorire la nascita di imprese da parte di neolaureati che si mettono insieme. Così per la capitalizzazione delle imprese, privilegiando le nuove, si cerca di creare incentivi attraverso la messa in rete delle società e delle imprese o attraverso la costituzione di fondi chiusi o aperti, nei quali fare partecipare le imprese di piccole e medie dimensioni; poi ci sono le leggi nazionali che vengono applicate a livello regionale e che trovano finanziamenti sia da parte dello Stato sia da parte di risorse proprie.
Questo strumentario, definito a livello regionale, cerca di andare nelle direzioni di cui parla Fontela, cioè cerca di sopperire alle carenze e alle necessità che l’imprenditore del ventunesimo secolo trova ad investire o addirittura a nascere, se vuole diventare un imprenditore di qualità.
Ma vorrei porre alcune questioni per un dibattito intorno ai temi di cui parla Emilio Fontela. In un distretto industriale come il nostro o quello marchigiano o veneto, il fenomeno della globalizzazione porta alcune imprese a essere più forti – perché sono più attrezzate, perché vendono prodotti migliori o nuovi o perché li vendono meglio – e aumenta il distacco all’interno del distretto fra le imprese più brave e le altre. Oggi, il pericolo fondamentale è quello della disgregazione dei distretti industriali. Come si può rispondere a questo problema? Secondo alcuni, ci sono due approcci, quello veneto e quello emiliano: il primo risolve il problema del pericolo della disgregazione dei distretti facendo in modo che si internalizzi, si endogenizzi lo svantaggio e si riesca a risolvere il problema della mancanza di competitività sul prezzo introducendo manodopera a basso costo, e questo presuppone la demonizzazione di un certo tipo di imprenditore; l’altra soluzione sarebbe quella di portare verso la globalizzazione l’intero distretto; le migliori imprese portano con sé anche le altre – e su questo ci può essere un supporto della pubblica amministrazione –, è un distretto aperto, nessuna immigrazione, non si compete sul prezzo ma sulla qualità e quindi vi è una forte spinta al supporto alla esportazione, a far sì che tutte le imprese del distretto partecipino all’internazionalizzazione, processo precedente alla globalizzazione; e questo vuol dire anche formazione professionale, un lavoro più qualificato, e così via.
Esiste o può esistere questo secondo modo di rispondere alla crisi vera o presunta di un distretto, che interviene in seguito alla globalizzazione?