ADAM ZAGAJEWSKIPoeta, scrittore, Cracovia
L'INVISIBILE DELLA POESIA
Intervista di Sergio Dalla Val
Polonia, Stati Uniti. Combinazione, integrazione. Cosa c’è nella sua poesia della Mitteleuropa e cosa c’è degli Stati Uniti?
Le influenze che colpiscono la mia poesia riguardano soprattutto l’Europa, l’Europa centrale, la poesia inglese; mentre il mio interesse per gli Stati Uniti riguarda principalmente le amicizie, più che la concretezza della poesia. Infatti, ho moltissimi amici fra i poeti degli USA e credo che sia l’unico paese in cui c’è questa solidarietà tra poeti. Ho vissuto a Parigi per parecchi anni come esule e non sono riuscito a trovare tanti amici, anzi, è stato molto duro per me vivere come esule a Parigi.
Perché si è trovato in esilio a Parigi?
Alla fine degli anni settanta, mentre si forma il movimento politico di protesta e alcuni poeti del mio gruppo vi aderiscono, per me comincia la crisi. Comincio a sentire che è troppo facile scrivere poesie di stampo politico, in questo contesto. Una facilità meccanica. Avrei potuto continuare a pubblicare centinaia di testi dello stesso tipo. Così per due anni mi tengo fuori dalla protesta sociale e politica, vivo un periodo di silenzio poetico, che coincide con un soggiorno a Berlino. Infine mi trasferisco a Parigi. Da lì nasce il desiderio di una nuova poetica: aprirsi alle riflessioni generali sul mondo. Quelle politiche non mi sembravano più sufficienti. In Francia considerano la storia qualcosa di non poetico. Un mio amico poeta mi ha detto chiaramente che non ama le mie poesie perché sono troppo storiche. D’altra parte, la storia per me è un ingrediente importante, anche se non l’unico, né da solo è sufficiente. Credo che la poesia sia in fondo anche una specie di reportage su vicende comuni, viste in modo personale.
Quali sono gli scenari della poesia contemporanea?
Gli scenari sono diversi, molteplici, ma per semplicità ne cito due. Uno è quello nato in Francia, che segue la corrente di Mallarmé, la poesia ermetica, che si basa soprattutto su uno studio della lingua, l’altro è quello che possiamo riferire a Walt Whitman e Apollinaire, con lo studio approfondito della situazione umana. Non che quest’ultimo non dia importanza all’aspetto linguistico, ma lo supera per andare a studiare subito la situazione umana.
A quale poetica lei si sente più vicino?
Non sarò mai uno che scrive solo canti sugli uccelli, benché ammiri molto i canti sugli uccelli, ma non abbastanza da prescindere dal fascino della storia. Quello che davvero mi interessa è l’intreccio dell’elemento storico e cosmico. Il cosmo immobile o preso da un movimento tutto suo. Non so come i due mondi coesistano. Sono in conflitto anche se si completano. Nella giovinezza ho fatto qualche errore, ma non rinnego il mio percorso. A quei tempi, per esempio, quando nella Polonia comunista ero noto come poeta dissidente ho appreso una lezione di concretezza. Se ora il mio orizzonte è diverso, e direi che risponde a una ricerca dell’invisibile (nel senso di qualcosa che provo a raggiungere e inevitabilmente mi sfugge), ebbene, anche adesso guardo al concreto. L’invisibile per me è anche l’indivisibile. Ma non sono un poeta mistico, perso in un mondo popolato da oggetti astratti. Amo la vita quotidiana, anche se non la amo per se stessa.
Qual è oggi la funzione, se c’è, del poeta?
La funzione del poeta è quella di mantenere viva la vita interiore.
E come può riuscirci?
Mai voltando le spalle al pubblico con una poesia ermetica. Naturalmente nemmeno si può cercare una poesia facile, perché la poesia in sé non è facile. Ma bisogna andare contro il nostro tempo. Oggi il poeta è condannato a un ruolo molto marginale, ha un ascolto molto ridotto. La poesia è una macchina meravigliosa, è una radio potentissima. Noi l’abbiamo resa una specie di telefonino.
La città dove voglio vivere
(poesia inedita di Adam Zagajewski)
È una città silenziosa al crepuscolo,
quando le stelle pallide si svegliano dallo svenimento,
e rumorosa a mezzogiorno di voci
di filosofi ambiziosi e mercanti
che portano velluto dall'oriente.
Lì bruciano le fiamme della conversazione,
ma non ci sono roghi.
Le vecchie chiese, i sassi muscosi
di una preghiera antica sono lì come zavorra
e come un missile spaziale.
È una città giusta
dove gli stranieri non sono puniti,
una città che ricorda subito
e lenta a dimenticare,
che tollera i poeti, perdona ai profeti
la mancanza di senso dell'umorismo.
Una città costruita
sui preludi di Chopin:
ne ha preso solo la tristezza e la gioia.
Piccole colline la circondano
in un ampio anello; ci crescono
il frassino campestre e il magro pioppo,
giudice tra il popolo degli alberi.
Il fiume rapido che scorre attraverso il centro
sussurra di giorno e di notte
incomprensibili saluti
dalle sorgenti, dalle montagne, dall'azzurro.
(traduzione di Paola Malavasi)