Numero 19 - Come ascoltare gli edifici
Paolo Moscatti
amministratore delegato di Tec-Eurolab, Campogalliano (MO)
IL CAPITALE INTELLETTUALE PER VINCERE LE SFIDE DEI PAESI EMERGENTI
intervista di Anna Spadafora
Tec Eurolab offre alle aziende di vari settori l’opportunità di provare i materiali utilizzati o da utilizzare nella fabbricazione dei loro prodotti, evitando così spiacevoli sorprese. Quali pezzi vengono portati a Tec Eurolab in seguito a una rottura o per un collaudo?
Molto spesso, arrivano pezzi meccanici che in fase d’esercizio si sono deteriorati, determinando la rottura di un componente meccanico e il fermo della macchina, a volte, purtroppo, anche con danni alle persone. Per fortuna, negli ultimi anni qualcosa è cambiato e le aziende hanno dovuto prenderne atto: i materiali con cui vengono fabbricati i prodotti che utilizziamo tutti i giorni da un’autovettura, a un’antenna, a un aereo hanno subito molte migliorie e sono diventati sempre più importanti nel loro aspetto strutturale. Di conseguenza, è aumentata la ricerca di materiali più resistenti alle condizioni ambientali più variabili. La superficie esterna di un aereo, per esempio, può passare, in pochi minuti, dalla temperatura elevatissima, dovuta alla sosta su una pista in piena estate, a una temperatura di -50°C, tipica delle condizioni di volo in alta quota. I nuovi materiali compositi che le industrie si avviano a utilizzare per gli aerei devono avere caratteristiche assolutamente eccezionali per resistere a questi shock termici. Ma lo stesso può dirsi dei componenti di un motore di un’autovettura e delle elevate temperature che deve sopportare. Negli ultimi decenni vengono impiegate leghe più leggere che offrono prestazioni maggiori, ma che presentano nuove problematiche. Ora, se in passato queste problematiche venivano risolte nei laboratori interni alle aziende, nei centri di collaudo, oggi questo non è più possibile, soprattutto in aziende di dimensioni medio-piccole come quelle del nostro territorio. Non possiamo “fare i cinesi”, non possiamo competere con aziende di dimensioni immensamente più grandi delle nostre fornendo il loro stesso prodotto. Se io costruissi biciclette sarebbe difficile pensare di poterle esportare in Cina facendo lo stesso prodotto di una fabbrica cinese. Ma se costruissi una bicicletta utilizzando materiali e concetti innovativi, andando alla ricerca di una nicchia di mercato che non è quella dei milioni di operai cinesi che utilizzano la bicicletta per andare a lavorare, ma quella dell’appassionato o dello sportivo, di chi apprezza i prodotti high-tech, allora potrei persino pensare di esportare biciclette in Cina. Allora, magari, per la nostra bicicletta high-tech, potremmo utilizzare materiali compositi e titanio, con tutte le complicazioni che comporta: ad esempio, saldare un telaio in titanio non è per nulla facile, non è come saldare l’acciaio. Un’azienda di piccole-medie dimensioni come può avere al suo interno un laboratorio di tecnici specializzati sui materiali compositi, sul titanio, sulla saldatura? Sarebbe impossibile. Ma se un aggregato di queste aziende chi fa biciclette, chi fa bulloni per aerei, chi fa pezzi del motore di Formula 1 della Ferrari, chi fa pezzi della Ducati può avere a disposizione sul territorio un centro dove una quarantina di ingegneri, chimici, fisici hanno la missione di studiare i materiali e i processi, facendosi carico delle problematiche del cliente in questi settori, il territorio acquisisce competitività e possibilità di accedere a tecnologie oggi indispensabili per poter competere.
Ecco il grande cambiamento intervenuto negli ultimi anni. Questo, però, purtroppo è stato capito prima dalle grandi aziende, piuttosto che dalle piccole. Le grandi aziende hanno fortemente ridimensionato, quando non chiuso, i laboratori interni, esternalizzando il servizio e riversando sull’innovazione di prodotto e di processo le risorse che prima impiegavano nelle prove di laboratorio. Le grandi aziende lo hanno capito e ne hanno fatto una politica aziendale: General Electric, Boeing, Alenia Aeronautica, Ferrari, Ducati, Detroit Diesel, per esempio, sono nostre clienti.
Voi analizzate i pezzi come un laboratorio per le analisi mediche analizza un prelievo per vedere se c’è qualcosa che non funziona…
In effetti, il paragone è esatto, ma, mentre il paziente porta i risultati delle analisi a un medico perché le interpreti, noi dobbiamo essere laboratorio e medico simultaneamente. Dirò di più. Occorre fare attenzione alla formazione del medico: il medico non può accontentarsi di guardare i risultati delle analisi per dare una cura, deve interrogare il paziente. Ebbene, la stessa cosa deve accadere nell’ambito dei materiali: il nostro operatore deve raccogliere tutta una serie di informazioni che lo aiutano a interpretare i risultati delle prove e dare una risposta. Ecco perché c’è la necessità di avere tecnici non solo molto qualificati per poter fare le prove, ma anche con abilità relazionali che consentono loro di mettersi al fianco del cliente e capire qual è il problema. Questa formazione non la dà la scuola, quindi, dobbiamo darla noi. Ecco perché un centro come il nostro non può essere solo un progetto per la remunerazione del capitale investito, perché sarebbe difficile spiegare all’imprenditore che, nei primi tre mesi del 2006, in Tec Eurolab, azienda di quaranta persone, abbiamo investito seicento ore di formazione non tecnica, bensì relazionale, manageriale: come si comunica con i clienti e con i colleghi, oppure come gestire situazioni critiche interpersonali o di vita quotidiana che nulla hanno a che fare con un pezzo che si è rotto o con il materiale, ma che sono determinanti per risolvere un problema.
Se vogliamo competere con altri paesi, con altre nazioni, dobbiamo farlo con le persone, con la cultura, non certo lavorando sul rendimento orario, o rincorrendo la manodopera a basso costo. Il più importante investimento che possiamo fare è migliorare il capitale umano, il capitale intellettuale. Questo consente di fare team, ma il team è costituito da persone, quindi, la prima regola da seguire è non dimenticare l’individuo.
Già questa affermazione ci pone su un versante completamente opposto a quello delle economie emergenti asiatiche, dove l’individuo non conta niente e c’è una massificazione generale. Noi dobbiamo competere grazie all’individuo, alla sua valorizzazione. Siamo partiti parlando dei materiali di un aereo per arrivare poi, come sempre, a parlare di persone. Forse è un destino di noi italiani. Il nostro paese non ha materie prime, non può più avere grandi industrie competitive sul costo del lavoro. Allora, che cosa può fare? Può competere solo con le persone. E questa è anche la missione del nostro laboratorio, un contributo al cervello dell’impresa attraverso la formazione del capitale intellettuale.