Numero 13 - Le donne, l'impresa, la comunicazione
Gary S. Becker
premio Nobel per l’economia 1992
OCCORRE UNA LIBERALIZZAZIONE ECONOMICA
Intervista di Anna Spadafora
Che cosa pensa della situazione economica mondiale odierna?
Ci sono validi motivi per essere ottimisti. Il Fondo Monetario Internazionale (IMF) stima che, a livello mondiale, il PIL reale crescerà, nel 2005, di circa il 5%. Inoltre, questa rapida crescita non è concentrata in alcune nazioni, ma, con un’unica grande eccezione, è diffusa in tutto il mondo. L’economia più forte, quella degli USA, da due anni si sviluppa piuttosto rapidamente e con continuità. Il Giappone sembra finalmente uscito dalla stagnazione durata oltre un decennio. Le economie dell’India e della Cina, nazioni in cui vive un terzo della popolazione mondiale, stanno registrando tassi di crescita annua del reddito nazionale superiori al 6%. Altri paesi in via di sviluppo come il Brasile, il Messico e la Russia hanno “ingranato la marcia” in modo significativo e stanno conseguendo buoni risultati. Le maggiori economie dell’Europa occidentale, in particolare la Germania, La Francia e l’Italia, hanno subito un rallentamento, ma sembra che adesso anch’esse siano in ripresa, sebbene ci sia ancora molto da migliorare.
Quali sono i fattori che contribuiscono maggiormente alla crescita dei vari paesi?
La grande capacità di sviluppare e perfezionare le tecnologie ed incrementare la produttività è il fattore base della rapida crescita economica degli Stati Uniti e, in modo differenziato, degli altri paesi sviluppati, ma anche, di riflesso, di quelli in via di sviluppo. Ad esempio, il prodotto per unità di lavoro negli USA è aumentato a un ritmo vertiginoso nella seconda metà degli anni novanta. Alcuni economisti hanno attribuito questa crescita agli effetti del boom economico e di un’economia perfino surriscaldata. Ma, con loro sorpresa, la crescita economica è continuata anche in questo secolo, malgrado una certa recessione, lo scoppio della bolla speculativa di internet, gli scandali finanziari, il terribile shock dell’11 settembre e il protrarsi della guerra in Iraq.
A questo proposito, quali possono essere i fattori che frenano l’economia mondiale?
Credo che il freno principale sia rappresentato dal terrorismo e dalla possibilità che i terroristi controllino e facciano uso di armi biologiche o di altre armi di distruzione di massa. Alcuni di questi pericoli sono remoti, tuttavia, l’effetto dl terrorismo sul prezzo del petrolio sta già compromettendo le prospettive economiche mondiali. Inoltre, l’aumento del prezzo del greggio è dovuto in gran parte a una domanda eccezionalmente alta alimentata dal boom dell’industria cinese. Ebbene, questo aumento, determinato dallo sviluppo economico mondiale, potrebbe finire per rallentare lo sviluppo stesso, senza tuttavia generare recessione e dissesto economico. Ma il vero pericolo sta in un possibile aumento del prezzo del petrolio causato dalla paura che i terroristi possano distruggere gli impianti di produzione petrolifera in Medio Oriente e altrove.
Che cosa occorre, secondo lei, perché i paesi dell’Unione Europea riprendano slancio e raggiungano i risultati sperati in seguito all’unione?
L’enorme mercato unico creato dall’Unione Europea è un grande risultato che avrà effetti benefici sulla crescita economica di quest’area. Ma il potenziale dell’Europa è inibito da politiche economiche ancora poco efficaci, specialmente in Germania, in Francia e in Italia. Fra queste un’eccessiva tassazione del lavoro dipendente, un sistema di ammortizzatori sociali troppo generosi e prolungati a favore dei disoccupati, l’incentivo a un pensionamento troppo anticipato laddove i lavoratori godono oggi di un livello di salute molto più alto che in passato, la scarsa flessibilità a sostenere la creazione di nuove attività imprenditoriali, un serio impedimento ai licenziamenti da parte delle aziende in difficoltà o quando esse vogliono estendere la settimana lavorativa oltre le trentacinque o le quaranta ore; e, ancora, pressioni verso un’uniformazione nelle politiche dei paesi membri dell’Unione Europea nell’ambito del lavoro dipendente, della pressione fiscale e in altri settori. Finché non si opererà una svolta verso la liberalizzazione economica temo che l’Europa continuerà a rimanere in una posizione di svantaggio rispetto agli USA e non riuscirà ad approfittare pienamente della nuova rivoluzione tecnologica.