Numero 15 - L'icona del valore
Alain Robbe-Grillet
regista, scrittore
QUANDO SCRIVO UN LIBRO, QUANDO FACCIO UN FILM
Quando scrivo, sono solo. Quando faccio un film, è impossibile essere solo, ho bisogno anche di un ambiente esterno, mentre, quando scrivo, ho soltanto bisogno delle strutture del linguaggio e posso anche creare dal nulla elementi di un ambiente esterno. Nel film ho bisogno di attori, di sceneggiature, di scenografie. Nel romanzo, invece, posso scrivere, per esempio: “piove” e il lettore può anche controllare fuori dalla finestra e darmi del bugiardo! L’autore non è bugiardo: ha creato la pioggia scrivendo. Nel film, avrebbe avuto bisogno di particolari scenografie, di macchine che creano la pioggia.
Quando scrivo, mi trovo in un periodo particolare, in una fase creativa unica, la scrittura, anche quando faccio le correzioni. Se, invece, faccio un film, individuo almeno tre periodi di creazione. Ciò che si scrive all’inizio, e ricordo che, anche se non c’è una sceneggiatura, c’è sempre, nella scrittura di un film, la stesura di una serie di sequenze. Poi c’è la scrittura del film vera e propria, la seconda fase. Poi c’è la terza fase, il montaggio. Nel film tradizionale, queste tre fasi spesso vengono confuse, si finge di confonderle: il regista, da solo, scrive le sue sequenze e le scrive già come se fossero la scrittura del film. Hitchcock andava addirittura al di là di queste fasi: per alcuni film aveva già scritto tutto con tale precisione che talora non si recava nemmeno sul set a vedere le sequenze. Guardava il filmato o addirittura telefonava da Los Angeles per chiedere se andava tutto bene. Aveva deciso tutto con tale precisione che era inutile andare sul set. In fase di montaggio, poi, alcune sequenze venivano modificate. Ho insegnato per venticinque anni cinema e letteratura in università americane. Mi ha sempre colpito che gli studenti americani non pensano tanto al film, quanto all’aspetto letterario. È strano. Io cerco sempre di spiegare la differenza tra il “mondo del linguaggio” e il “mondo delle immagini e dei suoni”. Ebbene, ho notato che, mentre parlavamo della progettazione di un film, soltanto pochi pensavano alle immagini e ai suoni, mentre gli altri, la maggioranza, pensavano alla storia e alle parole. Nelle esercitazioni su carta, che devono fare allo scadere di ogni trimestre, non descrivevano tanto il film, la cinepresa, le inquadrature e altro, ma soprattutto la storia, continuando dunque a pensare e a scrivere sempre in modo letterario. Ma è un rischio, perché un domani, non ci saranno solo loro, che devono scrivere e girare il film, ma anche i produttori!
Trovo la confusione tra espressioni letterarie e immagini veramente fastidiosa. E mi viene in mente Freud: anche lui, all’inizio, è stato vittima di questa stessa confusione. Seguendo la prassi che aveva avviato e partendo dall’analisi che aveva effettuato su di sé e sui suoi sogni, Freud invitava i pazienti a parlare dei loro sogni, e così avveniva. Vi era, da parte dei pazienti, un’insistenza sulla descrizione delle immagini, che Freud utilizzava per l’analisi. Poi, costoro iniziavano a parlare delle contraddizioni del sogno, delle sue zone d’ombra; chiedevano all’analista di discutere di questi aspetti, chiedevano di raccontare, e iniziava un vero effluvio di narrazione. Freud, dopo avere annotato quanto gli veniva detto, risistemava, per così dire, tutto per bene in un racconto. In questa prassi vi sono tre cose scandalose: innanzi tutto, farsi raccontare un sogno, e qui credo che vi sia soprattutto un aspetto simbolico. Poi, farsi raccontare parole e tentare di sistemare tutto in un racconto. Infine, terzo scandalo, mettere molti di questi racconti in un testo scritto, cosa che Freud faceva spesso. A mio parere, la psicanalisi si è sviluppata attorno a questa confusione tra parola e immagine. E Lacan diceva questa frase meravigliosa: “L’inconscio è strutturato come un linguaggio”. Ma anche, talvolta, diceva: “La psicanalisi è impossibile”. Qui, intravedo la sua legittima preoccupazione per lo svolgimento del suo lavoro.
Tornando a me, che non m’interesso del cervello, né della mente umana, ma di racconti, da queste considerazioni colgo alcune cose. Innanzi tutto, secondo quanto detto, a questo punto posso fare un romanzo basandomi sul linguaggio, poi fare un film, oppure posso fare il processo inverso: fare un film, poi, dal film e dalle sue immagini, trarre un romanzo.
Sulla base della mia esperienza, mi sento comunque di affermare con certezza che, se la psicanalisi fosse nata in un’altra epoca, avrebbe permesso ai pazienti di fare con i loro sogni dei film! Sarebbe stato un altro modo dell’analisi. Freud si rendeva conto del problema, invecchiando ha assunto un atteggiamento critico nei confronti della psicanalisi di cui peraltro gli psicanalisti non parlano mai. Per esempio nell’analisi del presidente Schreber, che è un suo caso clinico, Freud ha concluso: “Lui è come me”, perché, come il presidente Schreber, Freud ha costruito un mondo artificiale che affianca quello vero e ha l’aria di credere che il vero sia quello che ha creato lui. Lo diceva in modo molto toccante, non credo che abbiano la stessa sincerità gli psicanalisti. Potrei dire allora che scrivere un romanzo è nevrotico, e fare un film è una nevrosi, e fare psicanalisi è una nevrosi.
Quando scrivo un libro, scrivo prima di tutto per me, ho bisogno di scrivere. Quando scrivo il testo di un film non m’indirizzo a me, m’indirizzo ai tecnici e agli attori, e devo scrivere cose molto precise, devo descrivere, perché abbiamo un vincolo, noi che lavoriamo nel cinema: il cinema costa, quindi dev’essere tutto dettagliato. C’è solo uno dei miei film che non è stato scritto, Oltre l’Eden, dove c’erano attori giovani, sconosciuti, cui veniva chiesto di passare un mese lì, a Jerba, in Tunisia. In questo caso l’evolversi delle riprese ha prodotto il film! A parte questo caso, bisogna scrivere fin dall’inizio il testo per il film, con tutti i dettagli tecnici, regola che io seguo sempre. Comunque, io non scrivo il copione, ma descrivo, come se esistessero già le immagini, le inquadrature, i movimenti delle camere. Scrivo tutto molto in fretta in questo caso e non ho problemi di scrittura letteraria, è un progetto di film, devo soltanto rispettare la lingua francese: alcuni film li ho scritti in meno di un mese. Mentre quando scrivo un libro, lavoro da tre a sette anni. Il fatto è che lo scrittore è infastidito dal non poter scrivere, lo scrittore è sempre in lotta con il proprio silenzio. Nel film questo non mi accade.
Un editore coraggioso propose a Flaubert di pubblicare un’edizione illustrata di Madame Bovary, un’edizione popolare. Flaubert reagì scandalizzato, proprio perché pensava che l’immagine mostrasse e la descrizione letteraria nascondesse. Perché mai, diceva, dovrei mostrare al primo imbecille quel che con tanta cura ho cercato di nascondere? Uno dei temi più famosi della critica letteraria è la considerazione che le immagini mostrano e il linguaggio nasconde, e io sono d’accordo. Chabrol ha girato il film Madame Bovary e lui stesso mi diceva di aver rispettato il testo di Flaubert fino alle virgole. Ebbene, non c’è Flaubert nel suo film, neanche le virgole ci sono, secondo me. Pensiamo al caso di Visconti con Lo straniero. Camus aveva sempre rifiutato il progetto di farne un film, aveva detto che era impossibile. Poi, quando è morto, la vedova, forse per esigenze di denaro, fu persuasa da Visconti, che giurò che sarebbe stato fedelissimo al romanzo. E la sua fedeltà è consistita nel fatto che i bagni pubblici di Algeri, che nel frattempo erano scomparsi, sono stati ricostruiti! Visconti ha ignorato totalmente l’uso dei tempi grammaticali. Lo straniero è il primo romanzo francese scritto al passato indefinito, anziché al passato storico: il passato storico assicura la continuità, dunque la causalità, mentre con il passato indefinito i diversi elementi sono indefiniti, sono posti come isole separate, senza nulla che le colleghi.