La Città del Secondo Rinascimento

Numero 25 - Testimonianza. Materiale di civiltà

Sergio Dalla Val
cifrematico, brainworker, presidente dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

LA TESTIMONIANZA DELL'AVVENIRE

Il dossier di questo numero della nostra rivista riporta gli interventi dei dibattiti organizzati dall’Università internazionale del secondo rinascimento a Bologna e a Modena in occasione della pubblicazione del libro di Roberto Cecchi I beni culturali. Testimonianza materiale di civiltà, pubblicato dalla casa editrice Spirali, che sta suscitando un ampio dibattito in varie città d’Italia. Un dibattito essenziale per Bologna, per Modena, ma non solo: anche se apparentemente esenti da un macroscopico degrado urbano, queste città, come altre, sembrano soffrire di una dicotomia, se non di un conflitto, tra le esigenze di una città del patrimonio culturale, della tutela e della conservazione e quelle di una città del fare, dell’impresa e della comunicazione.

Manutenzione o progettualità? Conservazione o modernità? Se finora l’amministrazione dei beni culturali ha sviluppato la conservazione dell’esistente più che realizzare grandi progetti di valorizzazione del patrimonio, per Roberto Cecchi, direttore generale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la tutela non sta solo nei vincoli, il restauro non sta nel mantenere il passato quando non c’è più. Il bene culturale non è soltanto un oggetto estetico da preservare, ma una testimonianza materiale di civiltà. Definizione essenziale, perché, la civiltà non è solo il passato, ma sta in un “far dialogare”, come scrive l’Autore, l’antico e il moderno, testimonianza è non solo ciò che è stato tramandato, ma anche quel che occorre ora attuare, quasi testimonianza dell’avvenire. Non a caso, a proposito dell’opera di Isozaki a Firenze, scrive: “In materia di restauro ciò che non è legittimo è sottrarre materia al documento della storia, mentre si dà per lecita la possibilità di aggiungere”. Un modo per sottolineare che l’integrità del bene culturale non esige la restituzione in pristino, in nome del rispetto di una presunta purezza di origine, ma la restituzione in qualità, comportando un intervento che procede dal contesto e va in direzione della valorizzazione.

Come un bene culturale diviene testimonianza materiale di civiltà? Roberto Cecchi ha avvertito la questione durante il restauro della Cena di Leonardo, quando era alla soprintendenza di Milano. Nel capitolo Contesto vs oggetto, racconta come in quell’occasione sia cessato l’accanimento terapeutico sull’opera e sia stato necessario intervenire sui fattori ambientali, come viabilità e traffico, veri killer dell’opera. Il contesto per Roberto Cecchi non è soltanto l’ambiente, ma è ciò che volge l’opera da oggetto di valore estetico a bene di valore per la testimonianza che offre, così da venire a svolgere la funzione di documento materiale. Grazie al suo contesto, l’opera diventa testimonianza di civiltà, partecipando alla scrittura della storia e della memoria, e va tutelata proprio in quanto testimonianza. Scrive infatti: “È la testimonianza l’oggetto della tutela, è ciò che la storia ci ha concretamente lasciato, è ciò che possiamo vedere e toccare”.

Proprio l’analisi del dato materiale del monumento, il suo palinsesto materico, offre l’opportunità d’interrogare la materia della storia, egli nota. Come non avvertire in queste parole un’eco di Giambattista Vico e della sua scienza come filologia prima che come filosofia? E quasi attenendosi alla lezione vichiana, secondo cui le cose si sanno perché si fanno, le tesi di questo libro non procedono da postulati teorici, ma derivano dall’esperienza che qui viene narrata: dal primo lavoro a Palazzo Strozzi, subito dopo la laurea, alla facciata della Certosa di Milano, fino alla Cena e oltre. Per questo le acquisizioni tecniche, organizzative e procedurali sono esposte con una scrittura che risente più del racconto che del saggio, con una narrazione avvincente. Non senza accenti d’indignazione di fronte a quelli che sembrano essere, prima della mancanza di fondi, i due più gravi limiti alla tutela dei beni culturali in Italia: la discontinuità dell’azione amministrativa e la limitatezza progettuale. Come fare allora? Lo scrive Roberto Cecchi: “Bisogna avere la pazienza di andare per i viottoli tortuosi della conoscenza, comprendere gli eventi, collocarli in un contesto. Bisogna partire da dove si sono soffermati altri, quelli che hanno avuto la determinazione e la pazienza di fare un’analisi della situazione italiana e capire che cos’è successo”. Con la pubblicazione dei testi di coloro che sono intervenuti ai dibattiti intorno al libro, questa istanza sollevata da Roberto Cecchi viene rilanciata, come istanza di valorizzazione. Il processo di valorizzazione dei beni culturali è la valorizzazione stessa della memoria, che non è fatta di ricordi ma è arte e invenzione che si scrivono e si qualificano, e danno un apporto essenziale al processo di qualificazione stessa della vita.