Numero 26 - Le donne, l'arte, la scrittura
Bachisio Bandinu
giornalista, scrittore
UNA SESSUALITÀ SENZA EROTISMO
L’incontro con i quadri di Trotti è avvenuto nell’esposizione sapiente di una mostra nella Villa San Carlo Borromeo. Lo sguardo incontra una pittura singolare: sono ritratti, paesaggi marini e urbani nell’interessante relazione tra figurativo e informale.
Una pittura che pone interrogazioni e spinge a una investigazione. Così sono andato nelle Marche per parlare con l’artista. Un incontro disorientante. Credevo d’interrogarlo sulla sua pittura, cercavo d’impostare questioni in funzione critica: un approccio fallito. Trotti parlava dei suoi quadri come stesse dipingendoli, eludendo i miei formulari prestabiliti. I miei concetti che supponevo forti e stringenti svanivano nella loro inconsistenza. L’artista nella trattoria della riviera marchigiana parlava della bontà del pesce di terza categoria nobilitato da una cucina dell’invenzione, secondo una particolare maniera, e proseguiva parlando di una pittura secondo modalità singolari, e, a briglia sciolta, creava un tramite tra il colore dell’offerta marina e il sapore della pittura.
Interveniva il gioco di parola e l’ironia circa l’impossibile chiusura della forma tagliata dalla diagonale e disposta a una insopprimibile apertura. Impossibile l’aut aut tra l’informale e il figurativo: Trotti è sempre stato figurativo e sempre informale, il suo non è viaggio di andata e ritorno né cammino progressivo in senso cronologico e logico. La pittura è nel tempo e nell’occasione, così d’estate il paesaggio marchigiano sollecita una pulsione di scrittura e i colori dipingono ombrelloni, barche, argani, senza naturalismo, nell’invenzione. Ma un’altra occasione conduce al ritratto di una cinese, di un’africana, di un’asiatica, di un’italiana, senza verismo né psicologismo.
Mi chiedevo come un abile disegnatore, al culmine della forma, intervenisse con un taglio di disintegrazione. Il colore è riposato, è rafforzato, è lacerato, è lievitato. Il nero interviene nella pittura ma non è nell’ordine del phàtos né assume la significazione di un rimando mortuario carattere. Perché il nero di una diagonale taglia una marina di colori dolci? Trotti risponde che il nero interviene come pulsione e si pone come rimarcatura rispetto a un azzurro, al bianco di una casetta o al verde della campagna. E lo stesso bianco non lo sente come un bianco, o come il bianco, ma un bianco accanto a un altro bianco e ancora un differente bianco. “È difficile inseguire e definire il bianco: il bianco mi prende in giro”. Il bianco si fa beffa anche dell’artista e lo porta qua e là.
Anche il rigore della linea nel disegno, come diceva Carlo Sini, in fondo, non esiste: esiste nella relazione tra due colori, come se chiudesse e poi tranciasse.
E pensiamo al modo in cui l’artista costruisce un volto e poi lo sfigura. Durante una conversazione, faceva uno schizzo con una tecnica e una capacità compositiva sapiente: fa un primo tratto, poi un altro, e sembra che stia definendo un volto, ma poi, improvvisamente, lo sfigura completamente, quasi non sopportasse la figurazione, come se ci fosse un’inquietudine che pone l’artista sempre tra il figurabile e l’infigurabile. Nel nudo l’obliquità del volto e la violenza del colore eludono qualunque erotismo. Moravia ha insistito molto sulla sessualità del nudo in Trotti, ma occorre precisare che cosa s’intende per sessualità: all’occhio il nudo di Trotti pare invitante, ma lo sguardo non coglie la dimensione erotica della seduzione e dell’attrazione, c’è anche un allontanamento, perché quel volto così sfigurato rimanda all’impossibilità del possesso erotico. E non c’è neppure psicologismo, non ci sono quelle caratterizzazioni che consentirebbero una lettura psicologica. I ritratti di Trotti non contemplano un ammiccamento: come le maschere, non sono ritratti psicologici. La maschera della commedia dell’arte è psicologica, perché può rappresentare il servitore di due padroni, o l’avaro o altre caratterizzazioni. Ma la maschera sarda dei Mamuthones, o quella dei Merdules, o quella dei Thurpos, per esempio, non è psicologica e neppure semiologica, nel senso che non ha un significato specifico: si situa nell’ambivalenza e nella sembianza della metamorfosi. Ecco allora che i volti di Trotti spesso si trovano nel difficile rapporto tra faccia, volto e maschera.