La Città del Secondo Rinascimento

Numero 26 - Le donne, l'arte, la scrittura

Sandro Trotti
pittore, già docente dell'Accademia di Belle Arti di Roma

GIALLO, ROSSO E NERO

I pittori dovrebbero stare zitti, almeno così diceva il maestro Luigi Montanarini.

Il pittore è come un pugile che, davanti a un avversario, non si può difendere con la parola. Allora, mi chiedo che senso abbia l’accostamento di Trotti a Raffaello, che Bachisio Bandinu ha fatto nel libro Raffaello Sanzio e Sandro Trotti (Spirali). Nella tomba di Raffaello a Roma, c’è scritto: “Questi è quel Raffaello per cui madre natura credette d’esser vinta quand’era in vita, e di morire con la sua morte”. Raffaello era la perfezione. Allora l’accostamento a Raffaello forse ha un senso: io ho una figlia che si chiama Raffaella e amo Raffaello perché è la perfezione. Anche se nella pittura, invece, rifletto il disagio e lo spaesamento. Sogno la perfezione, ma capisco che viviamo lo spaesamento.

Ho compiuto tutte le esperienze di pittura negli anni delle avanguardie, frequentando critici importanti. Ma il pittore è libero: quando s’innamora dipinge. Anche se, a un certo punto, con l’astrattismo testardo che avevo dentro, ero arrivato all’accademia di me stesso, tanto che una volta Sante Monachesi mi disse: “Tu non vedi più la realtà! Vai ad Ancona, al Museo delle cere, e guarda come sono fatte le donne, perché tu non le vedi più!”. In quel momento, negli anni settanta, c’è stato il mio ritorno al figurativo. A scuola c’era una ragazza giapponese molto bella, e avvenne questa cosa misteriosa: feci tanti ritratti impostati su una specie di punto interrogativo. Da lì fino ai Nudi bianchi sono tornato al figurativo, azzerando il colore fino al bianco. Riproponevo la verginità del colore nella pittura, nel nudo.

Poi sono tornato al colore e alla sua “volgarità”, perché noi oggi non conosciamo il significato teologico del colore, non conosciamo niente. Quando dipingo sto seduto, ma se penso a Raffaello sto seduto sempre “con una chiappa di fuori”, sempre pronto a scappare via. Sono tornato al figurativo perché una volta stavo dipingendo una marina e sulla spiaggia c’era una barca con colori “puttaneschi”: giallo, rosso e nero. Brutta, però mi affascinava, perché ci s’innamora delle cose, e a volte l’approccio è per istinto: t’innamori, ma non lo sai, perché non sai come succede. Un marinaio mi disse: “Perché tutti i giorni vieni a dipingere questa barca gialla, rossa e nera?”. “Perché mi piace!”. “Dipingi la mia”. “Qual è la tua?”. “Quella grigia”. “Non mi piace!”. “Ma io te la ordino e quindi te la pago”. “E gli ordini, ormai, chi li fa più?”, lo misi a tacere.

Poi partii per l’Oriente e, nella vecchia capitale della Thailandia, Ayutthaya, vidi i Buddha neri con paramenti gialli e rossi. “Accidenti, ho fatto diecimila chilometri per avere la riprova del giallo, rosso e nero!”, mi dissi.

Mi è capitato proprio come nella storia hassidica in cui si narra che una voce dice: “Pio ebreo, lascia Budapest, vai a Cracovia nel cui castello troverai un tesoro!”. Udendo tutte le sere questa voce, un bel giorno, il pio ebreo lascia Budapest e va a Cracovia. Ma davanti al castello i guardiani gli chiedono: “Pio ebreo, cosa sei venuto a fare?”. “Una voce mi ha detto che qui c’è il tesoro!”. “E tu credi a queste stupidaggini? Anche a me una voce dice sempre: ‘guardiano, vai nella casa del pio ebreo, sotto una mattonella troverai il tesoro’”. Così il pio ebreo torna a casa e trova il tesoro. A volte, bisogna fare il viaggio di Ulisse per ritrovare la casa!