Numero 20 - La scienza, l'arte, la poesia
Abbas Kiarostami
regista, poeta, fotografo
OGNI ARTE DOVREBBE AVVICINARSI ALLA POESIA
Intervista di Simone Serra
Regista affermato, poeta, fotografo acclamato: qual è la ricetta del suo successo?
Non credo che ci sia una grande distanza tra fotografia e cinema: quando fotografo penso al cinema e quando sono alla regia l’angolo del mio sguardo si dirige verso la fotografia. Anzi, quando faccio il fotografo mi rendo conto di essere migliore come regista. Quando faccio il fotografo non ho l’obbligo di raccontare una storia, ma quando faccio un film sì. La fotografia racconta se stessa, c’è soltanto un legame tra chi guarda la fotografia e la natura. Perciò, c’è una sensazione di libertà sia da parte mia quando fotografo, sia da parte di chi guarda la mia fotografia, tutti e due guardiamo con libertà. Perciò quando fotografo mi sento molto più leggero e a volte capita che faccia una bella fotografia. Non ho mai pensato di lavorare da solo, non sono un professionista. Non c’è sempre la possibilità di essere regista, spesso faccio i film a due o tre anni di distanza. E non sono un fotografo professionista perché non porto mai con me la macchina fotografica. Ho cercato di fare ciò che desideravo in ciascun periodo e credo che il risultato di ogni lavoro, di ogni esperienza abbia influenzato il lavoro successivo. Per questo non posso negare l’influenza del periodo in cui facevo il grafico per le mie fotografie, i miei film e le mie poesie. Poesia e grafica hanno caratteristiche molto simili: la complessità e la semplicità. In entrambi i casi, il ruolo dello spettatore è estremamente importante e differente rispetto al ruolo del lettore del romanzo. L’arte grafica non dà una spiegazione convincente a chi vi si avvicina. Poche righe, poche tracce trasmettono un unico messaggio a chi guarda. Anche la poesia, diversamente dalla prosa e dal racconto, ha questa concisione, questa brevità.
Questo festival, Le parole dello schermo, ha come tema l’incontro tra cinema e letteratura. I suoi film non sono tratti da romanzi però è molto presente la poesia…
È una bella domanda, ma non è facile rispondere. Devo dire che vivere è poesia, la poesia fa parte della vita e non può non influenzare ciò che produciamo. Senza la poesia il proprio lavoro è più difficile, ma essere influenzati dalla poesia è inevitabile. In Iran la poesia e il teatro non hanno niente a che fare con l’istruzione. I miei nonni erano analfabeti, come molti iraniani, eppure conoscevano moltissime poesie. Spesso, durante la giornata, recitavano poesie e rispondevano l’uno all’altro con poesie. La poesia cristiana, in particolare quella classica, non è soltanto ritmica e piacevole, è la filosofia che ha permeato di sé i pensieri e i nostri poeti ci hanno trasmesso queste filosofie, questo modo di vivere attraverso la poesia. Credo che ogni arte dovrebbe avvicinarsi alla poesia. Non è possibile non viverla, non amalgamarsi a essa. Se un’arte non ha nessun richiamo alla poesia, non trovo che abbia valore o importanza. Credo che l’arte che resta è l’arte che segna. Quando ero piccolo mio padre mi leggeva le sue poesie, poi leggevo io le sue poesie e ancora continuo a leggerle, ma ciò che leggo oggi è ben differente da ciò che leggeva mio padre o da ciò che leggevo da giovane, perché questa è la caratteristica della poesia: ogni volta ci dà qualcosa di nuovo. E quando facevo i due film che hanno come titolo due poesie, Dov’è la casa dell’amico e Il vento ci porterà via, fino alla fine della produzione non sapevo che titolo avrebbero avuto. Soltanto quando il lavoro è finito mi sono reso conto che la poesia che avevo dentro di me mi suggeriva di dare questo titolo, perché io avevo vissuto con queste poesie. Vorrei sottolineare che, di fatto, la poesia non può mai diventare un’immagine, non possiamo costruire un’immagine cinematografica da una poesia, ma la poesia è il fine di un’immagine cinematografica. Credo che dobbiamo in qualche modo avere a che fare inconsapevolmente con la poesia e in qualche modo la poesia verrà fuori dall’opera, ma non siamo in grado di tradurre una poesia nella nostra arte.
C’è una poesia che l’ha particolarmente colpita?
Purtroppo, sì. Vi racconto una storia. Avevo diciassette anni e come tutti i giovani ero innamorato. Ho trovato il libro di un poeta che aveva scritto per il suo amore riempiendo tante pagine di poesie. Questo libro mi era stato prestato dalla libreria del fratello di un mio compagno di classe e quando l’ho letto i miei sentimenti d’amore sono diventati cento volte più forti. Il libro costava molto e non potevo comprarlo e perciò in tre giorni e tre notti ho ricopiato tutto il libro. E quando ebbi terminato mi resi conto che avevo imparato a memoria un libro di poesie, un canzoniere. Quando sono arrivato a vent’anni mi sono reso conto del disastro che era accaduto: le poesie erano banalissime, ma poiché avevano riempito una parte del mio cervello non potevo più cancellarle e ancora oggi sono lì. Trent’anni dopo, quando avevo cinquant’anni, ero ospite da un mio amico che era direttore delle relazioni culturali dell’ambasciata. Un giorno mi ha chiesto di andare all’ambasciata con lui perché si sarebbe fermato a fare visita a una persona che era in ospedale. Ho chiesto chi fosse e mi ha detto il nome del poeta. “Assolutamente, non vengo perché potrei anche ucciderlo!”, gli ho risposto. Allora, quando lui è andato a trovare il suo amico, in un primo momento sono rimasto fuori, poi, quando è tornato pregandomi di andare con lui, sono andato e ho visto un signore di circa settant’anni sul letto. Il mio amico ha bisbigliato nell’orecchio di questo signore che lì c’era Kiarostami, un regista che ama la sua poesia e conosce a memoria tutto il suo libro, tanto che avrebbe potuto recitarne una. E così è stato: ho incominciato a recitarne una sulla grande sofferenza di una persona che ha perso tutto, la famiglia, la vita, l’amore, ed è in una grande disperazione. Ho visto che gli scendevano le lacrime, anche il mio amico piangeva girato verso la finestra e io stesso mi sono messo a piangere, anche se ho recitato tutta la poesia.
Quando siamo usciti per me era qualcosa d’incredibile pensare che per quarant’anni avevo tenuto in mente questa poesia per poter recitarla a chi l’aveva scritta.