La Città del Secondo Rinascimento

Numero 32 - Istanza di qualità

Luisa Zoni
medico nutrizionista, Unità di Dietologia dell'Ospedale Maggiore di Bologna

IL CIBO COME PREVENZIONE E CURA

Era mia intenzione affrontare gli aspetti che riguardano il rapporto tra alimentazione e patologie neoplastiche, ma nelle relazioni che hanno preceduto la mia ho ascoltato molti elementi che mi hanno intrigato, sia nei riferimenti al libro di Giancarlo Comeri, Medicina di vita. La scienza e la conquista della salute (Spirali), sia nelle relazioni in sé. Ho ascoltato la testimonianza di esperienze simili alla mia soprattutto rispetto al rapporto tra la domanda sottesa della persona che si reca in un ambulatorio di dietologia o che effettua una richiesta d’intervento di tipo dietetico, il suo corpo come segnale e la sua malattia come richiesta d’aiuto. Inoltre, veniva messa in evidenza la capacità di comunicazione, che, per noi medici, è una capacità di ascolto e di lettura anche del non detto da parte del paziente, di una serie di segnali che comunque ci arrivano.

Noi dietologi abbiamo poi un problema particolare, perché spesso ci troviamo di fronte utenti che si recano in un ambulatorio pensando di ricevere la cosiddetta “dietina”, la ricetta per perdere peso. La cosa in realtà è molto più complessa, soprattutto quando sono in gioco alcune malattie, comprese, naturalmente, quelle più problematiche, come le neoplasie. Quando, per esempio, lavoro con pazienti in trattamento di radioterapia, si tratta di fornire supporti nutrizionali a pazienti che non riescono a mangiare, per periodi più o meno lunghi. Nel caso di alcune donne mastectomizzate facciamo anche incontri di gruppo.

A proposito di alimentazione, prevenzione e cancro, devo dire che purtroppo gran parte della popolazione si reca in ambulatorio per ragionare sui termini effettivi di prevenzione attraverso l’alimentazione quando ormai non si può più parlare di prevenzione, o, tutt’al più, si può parlare solo di prevenzione secondaria, perché gli effetti di un’intossicazione alimentare hanno un’incidenza molto bassa quando il cancro è giunto a un livello avanzato.

È vero, per esempio, che la soia e i flavonoidi hanno una funzione protettiva sia contro il tumore mammario, sia contro quello prostatico e, più in generale, nel limitare i disturbi della menopausa, ma è inutile assumerli quando si va in menopausa, occorre farlo almeno dieci anni prima. I riboflavonoidi appartengono a quella categoria di sostanze che hanno un effetto positivo in quanto sono competitori con i recettori estrogenici, cioè possono essere utilizzati nella terapia menopausale per attenuare i sintomi, oltre che come fattore protettivo nei confronti delle neoplasie. Ma va detto che i risultati che possiamo ottenere con la sola alimentazione e con gli integratori dietetici non sono propriamente eclatanti. Viene infatti a mancare quella che chiamiamo “costituzione del terreno a monte”. Quindi, la capacità di lavorare sull’alimentazione come fattore che predispone l’organismo a una buona qualità di vita deve incominciare dall’infanzia. Quello che si semina da bambini si raccoglie nell’età adulta.

Il problema è molto grande, perché negli ultimi cinquanta, sessant’anni la popolazione italiana, e in particolare quella della nostra regione, ha cambiato modo di mangiare e stili di vita, quindi è veramente difficile produrre in ambulatori come i nostri cambiamenti di alimentazione che siano veramente globali. Costruire un percorso di dietologia in rapporto alle condotte di vita significa molto spesso aiutare la persona a capire, innanzitutto, il problema per cui si reca da noi. Infatti, se una persona ha seguito dieci diete differenti e magari è dimagrita, ma poi il suo peso è tornato a crescere, il dietologo ha bisogno di molto tempo per capire, deve farsi dire il motivo per il quale la persona si è recata lì, che cosa si aspetta, quanto è disposta a spendere e quanto tempo è disposta a dedicare. In questi casi, io non do ricette dietetiche e per questo la persona può restare delusa. Quando, invece, viene in ambulatorio una persona che ha attraversato una precisa problematica clinica – infarto, neoplasia o patologia degenerativa neurologica –, la prospettiva d’intervento cambia molto. A questo livello possono esserci molte soddisfazioni, ma, altrettanto spesso, ci sono limiti legati alla struttura materiale della patologia in atto. È importantissima, in questi casi, la capacità di comunicare, perché occorre risolvere tanti piccoli grandi problemi. Pensiamo ai pazienti affetti da SLA, come quelli che seguo negli appositi percorsi dell’Ospedale Bellaria, che non riescono a mangiare, o quelli che riescono ancora a mangiare ma a cui occorre dire che dovranno fare una PEG per alimentarsi, e occorrerà farla presto perché è alto il rischio che in pochi mesi faranno una fatica tale a respirare per cui non riusciremo più a farla quando ne avranno bisogno.

Quindi è importantissima la comunicazione, ed è importantissimo sapere veicolare il messaggio di alimentazione come cura, come d’altronde era per Ippocrate, per Galeno e per la cultura di tutto il bacino del Mediterraneo e dell’India. Il cibo dunque dev’essere inteso come cura e come metodo di prevenzione. Fare giungere questo messaggio all’utente richiede pazienza e rispetto dell’altro, e occorre fare capire che in dietologia non si tratta solo di seguire una semplice “dietina”, ma di qualcosa di profondamente differente e composito.