La Città del Secondo Rinascimento

Numero 14 - L'impresa, l'avventura e il rischio

Mariella Sandri
cifrematico, presidente dell’Associazione Il secondo rinascimento di Ferrara

COME DIVENIRE CAPITALE

Ringrazio Armando Verdiglione di essere venuto a Ferrara per tenere questa conferenza (19 maggio 2005). È una conferenza importante per me, per l’equipe estense di cifrematica e, in particolare, per la città di Ferrara.

Il titolo La cifrematica, la Villa San Carlo Borromeo, l’arte, i libri, il brainworking traccia il progetto e il programma degli anni a venire, instaurando nella vita un’altra aria e un altro tempo: tempo del fare, tempo della vendita, tempo in cui i cosiddetti prodotti culturali non trovano valore in quanto pensati usufruibili da una massificazione e spettacolarizzazione della cultura, ma in quanto prodotti di una nuova impresa dove l’arte e l’invenzione appartengono alla parola originaria, all’industria della parola originaria e alla sua struttura.

Altra produzione, dunque, e altro il progetto. È produzione nuova in quanto è scrittura dell’esperienza e cifratura dell’esperienza. Esperienza che la cifrematica, la scienza della parola, trova originaria, ovvero che non si origina dall’industria o dall’impresa convenzionale. Nuova la produzione dell’industria della parola e nuovi i prodotti.

Il prodotto non è l’oggetto da vendere, il prodotto è la cifra, è la qualità e, mentre l’oggetto è condizione della vendita, la cifra, la qualità non è vendibile, ma è ciò verso cui tende la produzione.

Le cose si rivolgono alla qualità, con la cifrematica; la vita diviene qualità e la qualità mai è ideale, come risulta invece nei manuali di sociologia d’impresa e di marketing; sarebbe un segno, una significazione, un’attribuzione assegnata da un aggettivo qualificativo, segno di una differenza, segno distintivo di una qualità ordinabile: prima, seconda, pessima, ecc., in definitiva, qualità ordinaria.

La qualità a cui mi riferisco non è nemmeno uno scopo, una finalità da conseguire, ma è ciò verso cui si rivolge il nostro itinerario intellettuale, la nostra produzione intellettuale, ciò verso cui le cose che sono nella parola si dicono, si fanno, si piegano, si odono, si scrivono e si cifrano, ovvero vanno verso la qualità assoluta, verso il capitale intellettuale.

Il capitale della nostra produzione non c’è già, al capitale si giunge lungo l’itinerario e occorre che ciascuno divenga capitale proprio avvalendosi di questi prodotti.

Nella vita ciascuno ha da instaurare dispositivi di qualificazione delle cose che si fanno e si fanno le cose che occorre fare, senza alternativa, senza scelta, ma procedendo dall’obbligo assoluto che mai è morale, che mai è sociale.

La qualificazione esige l’Altro irrappresentabile, ovvero esige l’adiacenza, l’altro tempo della parola. Esige l’infinito attuale, non l’infinito potenziale di Aristotele. Esige il tempo che non finisce, per cui la morte, la paura della morte come fine del tempo, non determina l’economia della vita, l’economia della parola, del racconto, l’economia del fare, l’economia della produzione.

Questa produzione nuova vive d’infinito, dell’infinito attuale e sottolinea che le cose non finiscono, che nell’atto di parola le cose sono destinate all’eternità del tempo per cui la vita non può più fondarsi sull’economia della morte.

La vita è un compito per ciascuno, ciascuno ha il compito di vivere e le cose che facciamo, i dispositivi che inventiamo lungo l’itinerario, dispositivi artificiali, intellettuali, sono essenziali per i giorni che restano.

Questo resto è nell’infinito, è il resto che l’Altro, lungo l’adiacenza, rilascia.

Ma se la morte è data, i giorni passano, scorrono e ciò che facciamo deve dare un senso a questo resto creduto finibile, misurabile e, in quanto spazializzato, comporta necessariamente l’indugiare, il temporeggiare, riserve mentali, per cui la produzione risulta controllata e finalizzata al resto del tempo, al tempo che resta, data la morte.

Ma quali dispositivi possono instaurarsi se il tempo finisce, se la morte fonda la vita e ne determina l’economia?

Non possono essere che dispositivi naturali, volti al risparmio dell’audacia e del rischio, economizzando la difficoltà e l’ostacolo, ovvero l’oggetto, condizione della nostra produzione intellettuale. Nell’economia dell’ostacolo e della difficoltà non c’è alcun autore, alcuna autorità, così nulla incomincia affinché nulla finisca. 

Modi di mortificarsi, modi per negare l’infinito attuale, ovvero l’infinito che è nell’atto di parola.

Vivere d’infinito è il compito di ciascuno, vivere instaurando dispositivi intellettuali e producendo utensili che contribuiscano al business della nostra vita, che comportino un profitto secondo la logica della nostra parola. Profitto che segue alla vendita, profitto intellettuale. Profitto, ovvero ciò che resta di quel che si fa secondo l’occorrenza.