Numero 14 - L'impresa, l'avventura e il rischio
Armando Verdiglione
cifrematico, brainworker, art ambassador
LA CIFREMATICA, LA VILLA SAN CARLO BORROMEO, L'ARTE, I LIBRI, IL BRAINWORKING
È da venti anni che io vengo qui, la prima volta nella primavera del 1985, proprio venti anni fa e dodici anni dopo avere fondato, il 5 febbraio 1973, questo movimento culturale internazionale, il “Movimento cifrematico”, la casa editrice e altre strutture indipendenti. E sono venuto qui, in questi venti anni, spesso come questa sera, per differenti ragioni. La prima è che Mariella Sandri ha organizzato questa équipe, ha invitato qui autori provenienti da tutto il pianeta, scrittori, filosofi, artisti, ha organizzato mostre e ha avviato anche una libreria-galleria del secondo rinascimento, che adesso avrà un avvenire specifico. Sono qui anche per un omaggio a lei e all’équipe, oltre al ringraziamento e alla riconoscenza. Questa équipe è tanto efficace che, adesso, si è consolidata anche con l’apporto qualificante di Stefania Persico, che oggi ha narrato da quanti anni collabora, non venti, ma più di dieci. Adesso, a Ferrara, sono in atto uffici, altri ne apriranno, e mostre, master, équipe, congressi, e tutto ciò che noi inscriviamo nell’Università del secondo rinascimento.
Se un manifesto dovesse partire, proprio dell’era in cui noi ci troviamo, l’era della comunicazione, della telecomunicazione, dovrebbe partire da Ferrara. E questo è per la terza ragione, per cui sono qui. La terza ragione è dovuta al fatto che il rinascimento è consacrato negli scritti di tre autori.
Leonardo da Vinci inventa la scienza. La scienza non è più quella di Platone e di Aristotele. Quella è l’episteme, non già la scienza. Quella di Leonardo da Vinci è la scienza della parola, che integra l’esperienza. Anzi, l’esperienza è originaria. Nell’episteme, era fondamentale il discorso, il discorso come causa. Il senso, il sapere e la verità erano cause finali, cause da seguire, quindi, si sarebbero potute anche affiggere su una bandiera, avrebbero potuto fondare, regolare, strutturare le istituzioni, la repubblica. Leonardo inventa la scienza, tanto da dare un apporto essenziale nei vari settori. Si avvia una vera e propria rivoluzione.
Niccolò Machiavelli inventa la politica e la diplomazia. Voi direte: ma la politica c’era con Platone, c’era con Aristotele, il significante è greco. Ma quella è la politica fondata sull’episteme. Questa è fondata sulla scienza della parola, sulla scienza della vita, che integra i vari aspetti, non è fondata più, per esempio, sul principio del terzo escluso. E allora diventa la politica dell’Altro, dell’ospite, è una politica che non è segnata dall’intolleranza, ma dalla tolleranza. E qui veniamo a un altro argomento, che noi andiamo a discutere nel “Forum mondiale di cifrematica”, dal 10 al 12 di giugno, a Milano, che s’intitola La tolleranza nel terzo millennio. L’Altro, il tempo, la differenza. Questo è qualcosa che investe gli scenari dell’avvenire, per quanto attiene all’intero pianeta nei prossimi decenni e nel ventunesimo secolo. La questione della tolleranza è ineludibile. Ma noi avevamo, fino a Leonardo, fino a Machiavelli, i principi che erano quelli dell’intolleranza: il principio del terzo escluso, il principio d’identità, il principio di non contraddizione. Erano figure retoriche, ma assunte a principi.
Io sono qui anche per un omaggio a Ludovico Ariosto, i cui scritti sono essenziali proprio per quello che è stato chiamato il rinascimento. Non solo l’Orlando Furioso. Gli scritti che costituiscono il testo chiamato Ludovico Ariosto. Che cosa ha inventato Ludovico Ariosto? Ha inventato quella che oggi si chiama la telecomunicazione, la comunicazione “da lontano”. Si discute di navigazione, di viaggio. Ecco, questa è quella che, poi, Kierkegaard chiamerà la comunicazione indiretta. Non più il luogo comune, ma la comunicazione che sorge dalla scrittura dell’esperienza.
L’apporto di Leonardo, di Machiavelli è imprescindibile per Ludovico Ariosto. È anche per la scienza, la politica e la diplomazia che la comunicazione s’instaura. Infatti, qual è la lingua? Chi è che inventa la lingua diplomatica? Quando sorge la lingua diplomatica? Sorge con Machiavelli. Ecco perché dicevamo che inventa la politica e la diplomazia. Ma, attraverso la lingua diplomatica, che cosa avviene? La comunicazione, e non più il luogo comune. Invece, nella provincia pianeta, nella provincia chiamata pianeta, la comunicazione è scambiata non più con la telecomunicazione, ma con la luogocomunicazione. Quindi, sulla base non già dell’immunità, che è propria del tempo, dell’altro tempo, quello in cui ciascuna volta ci troviamo. E noi non possiamo reagire all’altro tempo. Ci troviamo sempre nell’altro tempo, nell’altro tempo dell’impresa, nell’altro tempo dell’istituzione, nell’altro tempo della famiglia, ciascuna volta nell’altro tempo. Noi non accogliamo questo altro tempo, reagiamo a questo altro tempo? Allora, avremo contraccolpi, contrappassi, tic e tac, strascichi e acciacchi.
In che modo, una città come Ferrara può divenire città del secondo rinascimento, anziché città di provincia? È un ossimoro la città di provincia. Città e provincia sono cose inconciliabili. Chi viene qui, in questa città, si trova proiettato, non già nel passato ma nell’avvenire. La memoria è in atto, è memoria dell’avvenire, è arte e invenzione, è scrittura dell’avvenire. Non è ricordo. Non sono fossili, non sono reliquie. È memoria da restituire. È, in questo senso, il restauro, non già come restituzione in pristino, ma come restituzione in qualità. Noi abbiamo da restituire in qualità quello che è il testo occidentale. E, quando diciamo testo occidentale, non lo opponiamo al testo orientale.
Abbiamo fatto un congresso, a Tokio, nel 1984, sempre intorno a questo argomento, Il secondo rinascimento. Da dove viene l’oriente, dove va l’occidente. Oriente e occidente, ovvero cultura e arte, invenzione e gioco. I giapponesi erano molto inquieti, molto preoccupati dell’immagine del Giappone nel terzo millennio, ma, nel 1978, eravamo già a prescindere dal periodizzamento e dal calendario nel terzo millennio. Due secoli d’illuminismo, di una certa visione del mondo, che è, poi, responsabile delle ideologie principali del diciannovesimo secolo, impiegate massicciamente nel ventesimo: ecco, questo periodo si è concluso attorno al 1978.
Noi siamo qui, forse, per questo, perché ciò che avverrà nei prossimi decenni, in Italia, sarà una specie “d’invasione”, un’invasione per turismo, ma turismo culturale e artistico, turismo intellettuale. Noi siamo molto attenti a quello che è accaduto in questi trenta anni, quando noi, il 5 febbraio 1973, abbiamo fatto la scommessa che l’Unione Sovietica sarebbe scomparsa. E non perché lo abbiamo decretato noi, ma perché era già in atto una trasformazione culturale, l’ideologia non teneva, non c’era più credenza, non c’era più adesione all’ideologia, c’era una trasformazione culturale in atto, che avrebbe comportato, nel tempo, una trasformazione politica e una trasformazione economica.
Ma eravamo attenti anche alla Russia e ai paesi dell’Est e, per tanto, al loro interesse enorme per l’Italia. Visitare Venezia o Firenze o Ferrara è stato, e sarà sempre di più, un aspetto essenziale del viaggio per ciascuno. In questo secolo, viene detto da coloro che si occupano delle vie di comunicazione, fra cinquanta o cento anni, che viaggeranno sempre di più gli abitanti del pianeta, gli umani, anziché le merci. Prima, Linate sembrava inondato da passeggeri. Oggi, Linate ha lo stesso numero di passeggeri. E la Malpensa non basta. E non sono italiani coloro che passano al 90% dalla Malpensa.
La fiera di Milano, che si teneva al centro della città (oggi risulta il centro della città, ma allora era periferia), era la fiera campionaria. Ma oggi si apre una fiera che è la fiera della globalizzazione. Non è più la fiera di Milano e non è più la fiera d’Italia, non è nemmeno la fiera d’Europa. È la fiera della globalizzazione. E non solo perché è la più grande che ci sia in Europa e, forse, nel pianeta, ma perché risponde a un’esigenza di comunicazione, di scambio, di cultura, di affari, di arte, di esibizione, di esposizione, che investe l’intero pianeta, e non soltanto i prodotti Italiani. Per ora, Ferrara non è a forte densità imprenditoriale. E non si è distinta, come altre città, nel manifatturiero. Nell’epoca in cui la produzione industriale avveniva in alcune città, non avveniva a Ferrara. Ma non è questa produzione che va a contraddistinguere l’Europa. Oggi, questa produzione viene spostata altrove. Il prodotto che qui interessa è un altro prodotto, in Europa. E, adesso, noi andiamo a distinguerlo, a definirlo, e è strettamente collegato con quello che noi abbiamo chiamato il rinascimento. Le radici culturali e artistiche, le radici della civiltà planetaria di oggi, non sono nell’illuminismo, come da taluni è stato detto a proposito della Costituzione europea, ma sono nel rinascimento. È il rinascimento che ha invaso il pianeta, che ha conquistato il pianeta. L’Europa arriva in Cina nell’ideologia, per tutto ciò che precede Leonardo da Vinci, da Platone a Leonardo escluso. È l’ideologia, quindi ritroviamo Mao Tse-tung e Marx, che era ebreo tedesco e, quindi, veniva dall’Europa: una cultura europea e, sopra tutto, un’ideologia europea del diciannovesimo secolo, fondata sull’illuminismo. È questa che arriva in Cina, è questa che fa una “modernizzazione” statale. E non è la modernità. La modernità, in Cina, arriva attraverso il rinascimento, come è arrivata in Russia, come è arrivata in Giappone. Ancora negli anni cinquanta e sessanta. Che cosa facevano i giapponesi? Una cosa che non avevano fatto in precedenza: i giapponesi copiavano. Ma da chi hanno imparato i giapponesi?
Da chi hanno imparato i cinesi, i cinesi che non hanno mai copiato nella loro civiltà? Inventavano le cose e le usavano come giocattoli, e non come cose utili: ignoravano che potessero servire. E quando i gesuiti portano l’orologio, con l’automa all’interno dell’orologio che, a certe ore, si sposta e cammina, loro accolgono i gesuiti come esperti dell’orologio. Per loro, l’orologio non serve per misurare le ore, ma soltanto come giocattolo.
Ma da chi hanno imparato, i giapponesi, da chi hanno imparato, i cinesi, a copiare? Non da Leonardo, non da Machiavelli, non da Ludovico Ariosto. Ma da Platone.
Platone dice che l’idea è l’idea di origine. Allora, regnano l’originale e la copia: e il mondo, gli umani e tutto ciò che accade è una copia. È una clonazione universale, che viene dall’idea una, dall’unità dell’idea. E tutto quanto, tutto quello che avviene qui, deve ritornare, deve essere un circolo, un cerchio, deve ritornare all’idea di origine. Ecco, ma proprio questo viene sospeso da Leonardo da Vinci, questa distinzione fra l’idea di origine e la copia. Che cosa importa? È che la parola è originaria, l’arte è originaria, non di origine, ma originaria. La cultura è un’invenzione originaria, la scienza è originaria, non serve per il ritorno all’idea di origine.
Questa modernità, la modernità del rinascimento, invade il pianeta. È arrivata in tutta l’Europa. È arrivata negli Stati Uniti, in tutto il continente americano. È arrivata in Russia, in Siberia. La trovate anche nell’islam. La trovate e la troverete in Cina. In Cina, lo iato intercorre fra l’ideologia, diventata regime, diventata partito comunista cinese, e la modernità, la modernità nell’arte, nella cultura, nella scienza e nella comunicazione. Questo che cosa comporterà? Comporterà che il partito comunista cinese, a un certo punto, cesserà. Che cosa può avvenire? Potranno costituirsi quattro Cine o una sola, ma, comunque, questa trasformazione culturale è in atto.
Per quanto riguarda l’islam, ci sono questi rigurgiti, queste effervescenze, che sono propri di quello che si chiama islamismo politico. Non bisogna confondere fra l’islamismo politico, che non è la memoria dell’islam ma il ricordo dell’islam, e, sopra tutto, è il ricordo delle ideologie del diciannovesimo secolo in Europa e delle dittature in Europa. È un terrorismo venuto dall’Europa, importato dall’Europa. L’islam è altra cosa. È la correzione dell’ebraismo e del cristianesimo in nome di Alessandro, ovvero di Aristotele. Questi libri, che vanno via da Atene, perché Giustiniano chiude la scuola di Atene, vanno verso Baghdad e, da Baghdad, arrivano in Europa, attraverso la Spagna, con gli arabi, fino a Averroè. Gli scritti di filosofia di Platone e di Aristotele arrivano in Europa attraverso gli arabi. Il Corano e gli scritti sacri dell’islam risentono, in maniera massiccia, del discorso filosofico greco. La questione dell’islam è una questione culturale. L’islam, il cristianesimo e l’ebraismo per noi non sono religioni, sono, anzi tutto, istanze e materiali culturali e artistici, vanno tenuti come memoria e traggono alla cultura e all’arte. E, in questo senso, il Mediterraneo, l’Europa e l’America fanno parte di una stessa civiltà, compreso l’islam. E la Cina? E l’India? La Cina e l’India non rappresentano il nemico, ma sono in via di trasformazione culturale. Quello che viene stabilito sulla base di un principio demografico, un principio che vuole dire quale sarà l’algebra dell’avvenire, la visione dell’avvenire, non tiene. Del resto, anche il Club di Roma, negli anni sessanta, sul principio demografico faceva previsioni oscure, su quello che sarebbe avvenuto e, che, poi, non è avvenuto. Non si può, sul principio algebrico, sul principio demografico, stabilire quello che sarà l’avvenire. Oggi, per ordine del partito, da un miliardo e mezzo, si è passati prima a un miliardo e quattro e, poi, a un miliardo e tre, in Cina; e si arriverà, da qui al 2020, a un miliardo: i cinesi saranno un miliardo. Ma questo se il partito avrà lo stesso potere che ha adesso. Ma, in ogni caso, a parte il partito, avverrà un enorme processo intellettuale.
Che cosa avviene alla Villa San Carlo Borromeo? Noi diciamo “villa” come “città”, ma può essere anche la stessa Ferrara. Qualcosa che noi chiamiamo universitas, bottega, politecnico, officina, fabbrica, museo e casa editrice, accademia, politecnico. Qual è il valore dell’impresa? Se lo chiede l’imprenditore, se lo chiedono i suoi interlocutori, se lo chiedevano i vecchi economisti, che, per ottanta anni e oltre, hanno avuto un certo indirizzo, fra l’Europa e l’America. Qual è il valore dell’impresa? Oppure, ancora una volta, come valorizzare la memoria, come si valorizzano le cose? Ma, ancora di più: qual è il progetto, qual è il programma? E, ancora: che cosa importa, in un’impresa? E andiamo a cogliere i dispositivi, i dispositivi intellettuali. Leonardo parlava di cervello, anche Machiavelli parlava di cervello, anzi, addirittura, faceva una distinzione fra i cervelli. Ma il cervello senza nulla di naturale, senza nulla di conformista. Il cervello, come dispositivo intellettuale. Dispositivo di valore. In breve, qual è la direzione dell’impresa, qual è la direzione della vita, qual è la direzione del viaggio? In direzione di che cosa, procede il viaggio? In direzione della qualità, in direzione del valore intellettuale, in direzione del capitale intellettuale. Il valore dell’impresa è il valore intellettuale dell’impresa. Come può prescindersi, considerando il valore, dalle persone, dal management, ovvero dai dispositivi intellettuali, dispositivi commerciali, dispositivi di direzione, dispositivi finanziari, dispositivi di comunicazione? Perché importa chiedere, ai governanti, ai capitani dell’azienda o dell’industria come anche ai filosofi e agli scienziati se hanno qualche nozione dell’avvenire, qualche ipotesi. E questo è essenziale. Oppure, se sono lì, arroccati a qualche ricordo, magari alla battaglia precedente, non a quella che stanno combattendo. Magari, viene stabilita una direzione. Può essere rettificata, precisata, man mano, ma un’ipotesi di direzione occorre.
Noi ci accorgiamo spesso che le idee, le idee proprie, le convinzioni, le cose cui ognuno, anche l’imprenditore, è affezionato sono quelle che, poi, vanno a frenare l’azienda, perché sono come l’idea di origine di Platone. Sono come qualcosa che stabilisce che tutto quanto deve ritornare a quell’idea, a quell’idea di origine: “Questa è la mia convinzione e, per principio, deve essere così”. Occorre non tanto la visione dell’avvenire, sulla base dell’idea di origine, quanto l’ascolto, di collaboratori, d’imprenditori, d’interlocutori finanziari, d’interlocutori commerciali, e anche di tutti coloro che si occupano dello stesso ambito. Come dice Leonardo, io ascolto chi viene a visitarmi e guarda quello che io sto facendo, non lo considero un disturbo. Poi, sta a me valutare, valutare e ascoltare quello che mi si dice, se c’è un motivo per dirlo, se c’è una ragione personale, se c’è una convinzione da parte di chi me lo dice, oppure se c’è qualcosa d’interessante. E, in ogni caso, io mi avvalgo di queste notazioni, che fa l’ascoltatore delle mie opere. Come ascoltare l’opera, quando si sta facendo?
Accennavamo al conformismo, perché spesso può sembrare che sia conformismo soltanto nei confronti di un sistema già costituito, di un corpo costituito, la corporazione. No, il conformismo può essere anche verso l’idea di sé, l’idea che ognuno ha di sé o dell’Altro. L’idea di sé. Il conformismo verso se stessi è il peggiore. E nulla serve il conformismo più della trasgressione. La trasgressione presuppone la linea. Come si esercita il culto della linea? Come viene adorata, presa in considerazione, seguita la linea? Anche con la trasgressione. Chi non ha la linea non ha bisogno di trasgredirla.
Per Leonardo, non c’è più linea, non c’è più cerchio. Egli inventa il disegno. Prima, il disegno era arroccato all’idea di origine, doveva essere proprio il disegno ideale. Ma Leonardo inventa il disegno, oggi si chiama design. Se l’Italia dà un contributo, lo dà per il disegno. E chi ha inventato il disegno? Non Aristotele. È Leonardo. È Machiavelli. È Ludovico Ariosto. E noi possiamo seguire la distinzione di Machiavelli. Il disegno. Il modo dell’apertura, che diventa traccia, il modo del tempo, dell’altro tempo, senza più l’idea della fine del tempo.
Fare qualcosa, intraprendere un’azione, una conversazione, una relazione, pensando alla fine, all’idea di fine. “Come finirà, bene o male?”, trovandosi sempre dinanzi a questa alternativa. Il viaggio è senza questa alternativa, non c’è alternativa alla riuscita. È per questo che, combattendo, noi siamo sicuri di vincere. Il rischio è questo, con la sicurezza. Ma la vittoria non è una vittoria definitiva, come non c’è nessuna sconfitta che sia definitiva. Qualsiasi cosa che accade non va presa né come negativa né come positiva, perché fa parte della battaglia e della scrittura della battaglia, e ciascuna cosa è in direzione della qualità.
Poi, abbiamo l’arte, i libri, la cultura, la scienza, i master, i dispositivi imprenditoriali. Cose di cui non si parla da nessuna parte e sono l’essenziale della vita: master, équipe, congressi, in tutto il mondo, laboratori. E, sempre, ciò che importa è lo statuto intellettuale. Ciascuno come statuto intellettuale, anziché come soggetto, perché il soggetto è sempre soggetto alla paura. E non c’è più paura, quando lo statuto è intellettuale, anziché sociale. Ci si preoccupa del ruolo sociale, perché fondato sul principio della paura. È senza più la paura, dissipando la paura e la paura di non avere più paura, che lo statuto intellettuale si costituisce.
Noi abbiamo questo museo, costituito da quindicimila opere: i Tesori del secondo rinascimento. Abbiamo fatto cose in varie parti del pianeta, ne faremo molte altre. Tutto questo museo andrà in internet tra poco. Una mostra straordinaria è stata organizzata in sedici città del ravennate, da Alessandra Guerra, che è qui, munita di occhiali è stata davvero molto brava , per potere vedere i musei e organizzarli bene; viene inaugurata, sabato prossimo, una mostra di Antonio Vangelli a Pordenone. Una mostra di Montevago è in corso a Vicenza. L’anno scorso, abbiamo organizzato una mostra di Ferdinando Ambrosino a Palazzo Reale a Napoli. Stiamo preparando una mostra di Roberto Panichi a Firenze. E, qui, a Palazzo dei Diamanti, alcuni dei nostri artisti hanno fatto mostre in passato. Per esempio, Saverio Ungheri, Ferdinando Ambrosino, Sandro Trotti, Alessio Paternesi, vari autori che sono quelli della scuola d’Italia. Attualmente, abbiamo anche una mostra alla Villa San Carlo Borromeo, che s’intitola Il ritratto. Le radici artistiche e culturali dell’Europa.
L’altro aspetto di cui ci occupiamo è quello attinente agli imprenditori. Lo scienziato, l’artista, lo scrittore, l’imprenditore, il finanziere, il banchiere sembra che siano distanti, perché, ancora, noi crediamo nella distinzione antica, ribadita da san Tommaso, tra l’arte liberale e l’arte meccanica. E quindi la pittura e la scultura venivano considerate come arti meccaniche. Che cosa c’entra l’imprenditore con lo scienziato o con il poeta? Entrambi hanno molto da esercitarsi nell’ingegno, nell’intellettualità della vita. Entrambi hanno da instaurarsi come dispositivi intellettuali. A questo proposito, anche la parola industria aveva un’accezione speciale: non era l’industria come luogo. Emula della natura, quanto il suo valore. La proprietà della vita per ciascuno.
L’imprenditore scommette, rischia, ha bisogno del progetto, del programma. Non può mai lasciare passare, mai lasciare perdere, mai abbandonarsi, mai abbattersi. Non può seguire gli psichiatri, non può seguire gli psicoterapeuti, non è amico degli psicofarmacologi, non ha bisogno di tutti quegli strumenti, che servono per non combattere. È combattente. Ci sono imprenditori, dai venticinque ai quarantacinque anni, che hanno costituito un’impresa o un gruppo d’imprese importanti. Molti hanno una cultura imprenditoriale, che sono riusciti a acquisire combattendo, facendo, industriandosi. Non hanno la cultura finanziaria, che occorre per compiere un salto di qualità. Ci sono pure coloro che hanno più di sessantacinque anni. Il problema non è quello della successione. La questione, ancora una volta, per un’azienda, è come non reagire all’altro tempo in cui ci si trova e come compiere ancora un altro salto di qualità. E se i figli e i manager non sono ancora pronti, occorre, accanto al brainworking, un supporto finanziario, che consenta loro di compiere questo salto di qualità, fino al momento in cui l’azienda sarà in grado di proseguire in altro modo. È un capitolo che nessuno assolve, questo, del brainworking. È qualcosa che era stato avviato a Chicago nel 1987, proseguito poi dall’Istituto Battelle di Ginevra, assunto dall’Unione Europea come figura professionale nuova, il brainworker. Però, non è come è stato trattato questo significante che importa. È, invece, un vero e proprio statuto intellettuale, il brainworker.
I libri per noi sono una cosa importante. Abbiamo una casa editrice. Consideriamo, per esempio, l’arte. Nel rinascimento, i mecenati, i committenti, il papa, il principe affidavano agli artisti il compito di eseguire un’opera. Anche la Cena a Milano rispondeva a un compito assunto da Leonardo con Ludovico il Moro. Nel Novecento i mercanti lanciano gli artisti. E si accordano un mercante di Milano, uno di Parigi, uno di New York, uno di Amsterdam e uno di Londra: e quel gruppo di artisti diviene importante. Ma, anche quando i mercanti hanno fatto così, non sempre la cosa è riuscita. E quando è riuscita, per cui sono sorti gli artisti? Quando intervengono, con la loro lettura, scrittori e poeti e filosofi e, quindi, coloro che non si occupavano propriamente dell’arte, ma di qualcosa di affine, che Leonardo ritrova come affine, che è la scrittura. Leonardo dice che è scrittura la pittura stessa. Sono gli scrittori i migliori lettori delle opere d’arte. E noi invitiamo gli scrittori a fare questo. Casa editrice e museo sono un modo nuovo di promuovere l’arte e la cultura e anche di dare indicazioni, anche rispetto agli artisti giovani. Anche se la casa editrice e il museo non privilegiano i giovani, tra la casa editrice e il museo ci sono indicazioni che vengono per i giovani.
I libri, che abbiamo pubblicato e che stiamo pubblicando, sono novità, strumenti di dibattito, strumenti di battaglia. Abbiamo pubblicato autori che erano sconosciuti, oppure autori che non venivano più pubblicati, per un pregiudizio. Per quindici anni, Ionesco non veniva più pubblicato, noi abbiamo pubblicato Vita grottesca e tragica di Victor Hugo (1985), La foto del colonnello (1987), Antidoti (1988) e Il mondo è invivibile (1989). C’erano tanti sospetti su Borges, noi l’abbiamo accolto nella nostra villa, l’abbiamo invitato al congresso di Tokio, l’abbiamo invitato negli ultimi mesi della sua vita da noi. Oppure, Elie Wiesel era sconosciuto, perché, sì, era scampato a Auschwitz, però era ebreo, era leader in America, era favorevole a Israele (perché mai avrebbe dovuto essere contrario a Israele?), questo era un motivo perché non se ne parlasse, perché si operasse un ostracismo nei confronti di Elie Wiesel. E noi l’abbiamo pubblicato. Abbiamo invitato Primo Levi a venire al dibattito e molti altri, in varie città italiane. E questo, prima che avesse il Nobel. E, poi, anche altri giornali hanno cominciato a parlarne. E così molti altri. Ci siamo interessati a ebrei che scrivessero della cultura ebraica e la inventassero e la reinventassero, cattolici che facessero altrettanto, giapponesi che facessero altrettanto e russi, sia all’interno della Russia sia all’esterno, che consentissero di dare un contributo alla civiltà: e gli scrittori russi si sentivano sempre investiti del destino globale del pianeta.
La città di Ferrara, rispetto agli avvenimenti internazionali e intersettoriali che riguardano l’arte, la cultura, i libri, la scienza, l’imprenditoria e la finanza, sarà sempre più importante, perché, sempre più, faremo avvenimenti qui, dando l’occasione ai giovani di partecipare, proseguendo la nostra scommessa intellettuale.