La Città del Secondo Rinascimento

Numero 18 - Il cervello dell'impresa

Sergio Dalla Val
cifrematico, brainworker, presidente dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

IL CERVELLO DELLA VITA

Il recente forum dal titolo Brainworking. Il cervello dell’impresa (Confindustria Modena, 25 novembre 2005), di cui pubblichiamo in questo numero alcuni interventi, è stato l’occasione per reincontrare Emilio Fontela, che nel 1997, nel libro Sfide per giovani economisti (Spirali), parlò per primo del brainworker,  citando il termine di un programma della Comunità Europea elaborato da R. von Gizycki e W. Ulrich, pubblicato in Germania nel 1988. Già allora risultava uno statuto differente da quello del consulente, dell’esperto, del formatore della sociologia o degli studi sulle relazioni industriali.

Nessuna mente interna o esterna all’impresa cui attribuire il sapere o il potere sull’impresa del terzo millennio: ciascuno, manager o segretaria, venditore o impiegato, non può eludere la responsabilità, la capacità, la direzione abdicando all’intelligenza con la giustificazione della delega. Il ricercatore, scriveva Fontela, non può esimersi dagli aspetti finanziari, l’impiegato deve prendere decisioni ben al di là del criterio della competenza e dei limiti contrattuali. E per ciascuno occorre giungere all’efficacia, ben altro che l’efficienza.

Oggi, dopo i corsi di formazione dei brainworker organizzati dall’Università internazionale del secondo rinascimento per il Fondo sociale europeo, dopo i libri di Armando Verdiglione Il brainworking. La direzione intellettuale. La formazione dell’imprenditore. La ristrutturazione delle aziende (Spirali)  e Master del brainworker (Spirali) e la fondazione del Braiworker Institute, impossibile confondere il brainworking con il problem solving o con i knowledge workers. Il cervello dell’impresa non esige la conoscenza, che è conoscenza del male da eliminare per giungere al bene: tagliando rami secchi e mele marce, licenziando e scorporando, l’intervento salvifico paga il liquidatore e distrugge l’impresa. Già nel suo etimo, problema è ciò che getta innanzi (pros-ballein), non un male da eliminare; esige un progetto e un programma, non una soluzione, con cui tutto diventa problematico.

L’itinerario dell’impresa è un itinerario di qualificazione. Non si tratta di capire se l’impresa va bene o va male, per cui dovrebbe intervenire una psicofarmacologia della struttura produttiva o dell’imprenditore (come accade) per aggiustare il sistema. Con il brainworking si tratta della formazione dell’imprenditore e dell’analisi della struttura direttiva dell’impresa per stabilire quali sono i termini, i modi, le misure con cui l’impresa giunge alla riuscita. Sempre inavvertita dall’algebra, dalla geometria, dalla contabilità. Nella ristrutturazione, importa qual è la lingua di ciascuna impresa, come giungere alla sua scrittura, al suo testo, essenziale per la sua valorizzazione e la sua qualificazione. Questione intellettuale, di parola e d’ascolto, non di sostanze. Si tratta d’instaurare dispositivi organizzativi, commerciali, di produzione, di vendita, finanziari: dispositivi di valore che non fanno sistema perché non hanno bisogno di armonia e di unità. Senza questa direzione verso la qualità è facile che il capitano d’impresa si lasci travolgere dai ricordi, se non dalle paure, facendosi guidare dalle circostanze, in assenza di cervello. Anche il concetto di diversificazione del rischio dipende dalla possibilità che un ramo possa seccarsi, che un frutto possa marcire, che le cose possano andare male.

Senza il brainworker  la paura spinge l’impresa verso la fine. L’altra faccia della paura è il coraggio: solo chi ha paura ha bisogno di dare prova di coraggio, di compiere gesti eroici, performance spettacolari richieste dai media che oscillano tra trionfalismi e rovine, tra eroi e sconfitti. Copione richiesto dalle mitologie romantiche e illuministiche che hanno riciclato quell’idea di morte che ha attraversato tutta la filosofia greca, idea con cui il discorso occidentale giustifica il fare, l’impresa, la vita stessa. A cosa vale il cervello se tutto è sottoposto al criterio della morte? Come sorprendersi allora se lo stesso cervello viene offerto al vaglio della fisiologia e alla cura della psichiatria?

Il brainworker, al quale la cifrematica ha dato uno statuto intellettuale, è imprescindibile perché s’instauri il cervello dell’impresa, il cervello della vita, è indispensabile perché le cose non si trovino nel ricatto della loro fine, e ciascuno non cessi di ragionare. Allora vivere non è tirare a campare, combattere non è difendersi, e la riuscita non è battere la concorrenza. Scrive Armando Verdiglione: “Il cervello è dispositivo di virtù, dispositivo di forza, dispositivo di pulsione, dispositivo pulsionale. Tanto che nessun itinerario s’intraprende senza il cervello. Nemmeno può scriversi. Nemmeno può giungere a compimento”. Customer care? Customer satisfaction? Il cervello dell’impresa trae le cose alla soddisfazione del progetto e del programma, non dei clienti e degli azionisti.  In quanto dispositivo di direzione vanifica il prendersi cura, tributario del principio di padronanza sostanziale, perché trae alla cura come istanza di  proprietà intellettuale, proprietà della parola originaria di ciascuna esperienza. Per questo la scienza della parola, la cifrematica, è la base del brainworking: la direzione dell’impresa è la direzione della parola che diviene qualità.