La Città del Secondo Rinascimento

Numero 18 - Il cervello dell'impresa

Boris Kurakin
vice presidente di Confindustria russa

IL BUSINESS INTELLETTUALE

Il tema di questo forum sul cervello dell’impresa è il tema importantissimo del ponte tra il mondo degli affari e quello della cultura. Se c’è armonia tra il mondo degli affari e il mondo politico, tutti i miracoli negli affari sono possibili, ma, senza l’appoggio del mondo della cultura, il mondo degli affari potrà facilmente portarci alla catastrofe politica. La situazione attuale dimostra che possiamo aspettarci catastrofi a vari livelli, basti considerare come si è svalutata la vita dei cittadini in qualsiasi paese.

I manager più brillanti li ho incontrati proprio in Italia, anche se la scuola di management è nata negli Stati Uniti. Frederick Winslow Taylor, molto rispettato dal compagno Vladimir Ilic? Lenin, ha detto che lo scopo del business è di sapere sopravvivere. Così, chi è capace di sopravvivere è manager di natura, non perché è nipote del fondatore di una società (caso che, in Italia, si può incontrare spesso). Sapere sopravvivere, secondo Taylor, è un’arte innata. Attualmente, in Russia abbiamo miliardari che in tre anni hanno guadagnato una decina di miliardi di euro ciascuno, ma non sono intelligent business people, la loro fortuna si deve alla mancanza di un sistema legislativo intelligente, si deve a quel fenomeno che è la disgrazia del paese chiamato Russia. Negli Stati Uniti, il primo miliardario, Rockfeller, ha impiegato almeno una decina di anni per arrivare al successo, e con un approccio intelligente, con il sudore della fronte.

Secondo me, la business intelligence dovrebbe essere sostituita dall’effective management, che include altre esigenze. In Italia ho partecipato, insieme con altri russi, a molte vicende. Nel 1965, siamo venuti come comunisti e compagni ortodossi di Palmiro Togliatti e abbiamo viaggiato come capitalisti, con il treno fornito dalla Fiat. Siamo arrivati a Torino per trattare un accordo che era il ponte tra l’Italia e l’Unione Sovietica. Prima di tutto, vorrei ricordare l’approccio molto intelligente con cui è stato trasferito il know-how italiano in Russia. Occorreva superare la differenza di carattere dei due popoli e questo è stato fatto grazie all’intervento di brillantissimi scienziati italiani. Non mi stanco di sottolineare che non c’è migliore esempio di fraternità e di reciprocità che quello di portare a compimento un progetto; e pensare che è avvenuto quasi quarant’anni fa. Per questo, devo riconoscere il contributo della gente di Mirafiori e di Torino.

La business intelligence non è separata dalla proprietà intellettuale. Che cos’è l’intelligenza negli affari? È la proprietà intellettuale. E qui devo essere assolutamente schietto: c’è un baratro, negli Stati Uniti, tra il mondo industriale e il mondo dei politici di Washington. Mi sono sempre sforzato di evitare Washington, perché lì si possono trovare persone non proprio disposte nel migliore dei modi. Invece, fra gli industriali della East Coast, della California, del Texas o di Detroit, ho sempre incontrato gente di estrema intelligenza. Negli Stati Uniti, e questo devono tenerlo presente gli italiani, il capo dell’ufficio brevetti, per legge, è il numero due del ministero del commercio. Accade solo negli Stati Uniti. Gli statunitensi attribuiscono alla business intelligence un’importanza enorme. Mentre in Italia, l’Ufficio brevetti è quasi sconosciuto a una buona metà degli uomini di affari.

Vorrei dire qualcosa anche sull’importanza del contributo italiano in Russia nel campo della cultura. Ne parlavo tre anni fa con il mio amico Franco Bonetti, ambasciatore italiano a Mosca, che mi chiese di visitare la città di Frasino, a una decina di chilometri da Mosca, per vedere le industrie belliche. Frasino è una città con un nome italiano. Quando il padre di Pietro il Grande, Alessio, decise di costruire il Cremlino, nel 1600, fece un accordo con la città di Frascati, in cui c’erano costruttori bravissimi all’epoca. Giunsero a Mosca 26000 operai, un numero di gran lunga superiore a tutti gli italiani che attualmente lavorano a Mosca. La perestrojka era cominciata già trecento anni fa e questo coincide con quanto diceva Carlo Sini nel suo intervento a questo forum. Sono stati gli italiani a costruire quel capolavoro che è il Cremlino, solo una torre è stata concepita da un architetto inglese. Alessio diede loro questa piccola città vicino a Mosca, il cui nome è stato formato togliendo quattro lettere a quello di Frascati. Frasino, quindi, era un sobborgo di Mosca. Oggi ci sono duecentomila operai che producono missili e strumenti bellici, però trecento anni fa c’erano quelli che hanno costruito il Cremlino. La Finmeccanica di Fabiano Fabiani ha pubblicato tre volumi, un’opera enorme, Il contributo degli italiani nella vita culturale della Russia. Vi leggiamo che le belle chiese di Mosca e molti altri capolavori sono stati costruiti da italiani, che poi, purtroppo, hanno ceduto il terreno ai francesi. Questo esempio mostra che, già trecento anni fa, esisteva lo scambio tra la cultura e gli affari, con l’appoggio della politica. Quindi, non dobbiamo scoprire qualcosa di nuovo, ma, come ha detto Sini, la storia del passato è il miglior insegnamento per chi vive oggi.

Nel rapporto tra gli affari e la cultura manca una cosa importantissima. Gli uomini il cui mestiere è di essere charmeurs, dunque di conquistare la simpatia del pubblico, sono esempi di falsa democrazia. Un oratore si sforza di guadagnare il consenso con la simpatia o con la sincerità; gli italiani parlano brutalmente, dicono pane al pane e vino al vino: ebbene, sono loro a conquistare l’uditorio. Potrei citare moltissimi esempi, compresi alcuni uomini di cultura. La mia esperienza negli affari mi ha messo di fronte a un italiano, purtroppo dimenticato, che era il più intelligente degli uomini di affari di Milano: l’ingegner Lauro, con cui ho fatto grandi contratti, tra il 1967 e il 1968, e che era l’amministratore delegato della società Innocenti. Lauro mi aveva detto: “Boris, nel caso voglia fare affari con me, dovrà apprendere la lingua italiana”. Lui non parlava nessun’altra lingua. Così, il mio italiano non l’ho appreso alle scuole specializzate del KGB, ma nell’esperienza, trattando con uomini di qualità. Fra i migliori uomini d’affari, ricordo Leopoldo Pirelli, un uomo brillantissimo, Umberto Agnelli e molti altri, da cui ho imparato come ci si comporta, come trattare e come portare i contratti alla firma.

Questa è la grande cultura degli uomini d'affari. E questa è stata la mia fortuna.