La Città del Secondo Rinascimento

Numero 21 - La modernità

Emilio Fontela
docente di Economia all'Università di Madrid, già direttore del dipartimento di Economina dell'Istituto Battelle di Ginevra

UN ALTRO POETA, IMPRENDITORE

Intervista di Sergio Dalla Val

Quando nella teoria microeconomica si parla della funzione dell’imprenditore, il concetto chiave utilizzato per descrivere il comportamento imprenditoriale è la razionalità. Lei spesso ha dichiarato che questo criterio non è adeguato all’impresa della modernità. Perché?

L’impresa s’inscrive in uno scenario di decision-makers che operano utilizzando la loro razionalità in un sistema di mercato contraddistinto dall’efficienza. In questo contesto, la razionalità è l’ispiratrice di tutte le azioni dell’imprenditore, in direzione della massimizzazione del profitto: egli deve ottimizzare la tecnologia, la struttura finanziaria e la politica salariale, per rispondere all’impulso della spinta economica. Soprattutto nelle grandi imprese, in cui le decisioni sono più decentrate, la razionalità diretta al massimo profitto è il principio che sta alla base del management.

Ma l’imprenditore e l’impresa sono fatti per il futuro. Le decisioni di oggi trovano le maggiori implicazioni domani. Naturalmente, se l’accento si sposta sul processo per il massimo profitto da raggiungere nel futuro, si presentano nuove possibilità che consentono di sostituire il profitto attuale con il profitto futuro. Allora, tutte le decisioni si complicano, richiedono la valutazione degli sviluppi del mercato, delle nuove tecnologie, dei metodi organizzativi e delle opportunità finanziarie. Ma, per definizione, l’impresa del futuro non può essere analizzata e valutata razionalmente. Nel futuro c’è posto solo per l’immaginazione.

Le funzioni fondamentali che caratterizzano la figura dell’imprenditore si possono raggruppare in tre aree: l’area finanziaria, quella manageriale e quella che riguarda l’investimento nel tempo, cioè le innovazioni e le trasformazioni. I risultati di questa terza funzione, che si potrebbe definire d’implementazione – quella che consente all’imprenditore di prendere decisioni come lo sviluppo di un progetto innovativo, di cogliere nuove opportunità di mercato o d’intuire in anticipo le variazioni della domanda –, non dipendono dall’applicazione di un sapere tecnologico alla produzione, ma dalle qualità psicologiche e sociologiche dell’imprenditore. I risultati della funzione d’implementazione sono il frutto di quel processo cognitivo creativo che alcuni studiosi oggi considerano alla base del successo d’importanti e affermati imprenditori, ossia il processo d’identificazione di opportunità e della creazione di nuove imprese. In questo senso, l’intuizione è una risorsa dell’imprenditorialità. È una percezione intellettuale delle cose che non necessita di procedimenti induttivi o deduttivi ed è parte di una catena di cause ed effetti, che può contribuire a ridurre l’incertezza.

L’intuizione sembra stare alla radice dell’arte, più che dell’economia.

L’arte esula dalla catena delle causalità razionalizzabili e ci appare come un unico atto creativo. La differenza tra arte e impresa non sta nel metodo, ma nello scopo finale che, nel caso dell’imprenditore, concerne la ricchezza e, nel caso dell’artista, la bellezza. Dall’inizio alla fine, colui che crea, imprenditore o artista, non sa quale sarà il risultato, ma prende costantemente decisioni che lo porteranno alla conclusione e che sono il prodotto delle emozioni, il frutto della combinazione tra ciò che ciascuno si aspetta e gli ingredienti che mette in gioco nella sua creazione. Il poeta e filosofo Francis Sparshott spiega così il processo poetico: “Un poeta non sarà mai tale finché non avrà concluso l’opera”.

La creatività è influenzata anche dall’ambiente in cui l’artista e l’imprenditore vivono: nell’antica Grecia e nell’Italia del Rinascimento, per esempio, l’arte ha trovato le condizioni di prosperità favorevoli alla sua fioritura. Ma, ciò che ha dato impulso alla creatività non è stata la prosperità economica, bensì la grande quantità di risorse sociali investite a scopi non strumentali. Non basta la sicurezza economica per fare sentire all’artista e all’imprenditore la libertà di esprimersi, ma occorre anche quell’apertura intellettuale nella società che crei le adeguate condizioni psicologiche e sociologiche. La poesia, come ogni attività artistica, è priva di motivazioni economiche, è difficile capire coloro che spendono tanto tempo in qualcosa che non può dare da vivere, eppure, è impossibile trovare una società in cui non ci sia affatto la poesia.

L’intuizione, la creatività e la capacità di prevedere il futuro sono componenti essenziali in ciascuna attività artistica e sono essenziali per l’imprenditore o il manager che devono prendere decisioni, soprattutto importanti come quelle che riguardano il futuro dell’azienda. Per questo motivo, l’imprenditore razionale, che persegue il massimo profitto, quando cerca di valutare le prospettive future dell’economia in generale o della sua attività in particolare, deve spostarsi nel campo dell’estetica. Usando gli strumenti della creatività e della capacità di previsione, possiamo ancora sperare di rimanere semirazionali, ma l’atto creativo finale, la decisione che alla fine farà slittare di un passo l’ignoto avvenire, sarà sempre un gesto estetico, nel senso più puro del termine, che farà nascere una bellezza intellettuale, emotiva e astratta.

Questa conclusione stabilisce un forte legame tra l’imprenditorialità e il management con l’arte e, dunque, con la poesia, un’arte della parola.

Prendendo decisioni che aprono e chiudono scenari futuri, l’imprenditore, come il poeta, dà un senso all’impresa, fornisce il disegno e la forma, le parole del linguaggio economico. L’atto del poeta ha molto in comune con quello dell’imprenditore orientato al futuro: l’invenzione, la novità, l’espansività, l’audacia e persino l’eleganza e lo stile.

Allora, la capacità di prendere decisioni nell’impresa, andando al di là del campo controllato dalla razionalità, migliora nel momento in cui viene a essa riconosciuto un contenuto artistico e cresce non in quanto risultato di un’intuizione mistica ma in quanto frutto di esperienze. L’impresa economica della modernità è l’impresa che impara a vivere la vita difficile della creatività artistica.

Ma, riconoscere che la funzione chiave del fare impresa è più un’arte che una scienza e che necessita di strumenti operazionali specifici apre un nuovo campo di ricerca, l’estetica del decision-making nel business. Per questo è urgente introdurre negli studi universitari per la formazione di imprenditori corsi per sviluppare la creatività e la capacità di prevedere il futuro, che comprendano anche considerazioni sull’estetica e sulla poesia, in modo da creare quell’apertura intellettuale indispensabile per l’esplorazione del futuro.