Numero 28 - La politica del tempo
Vittorio Fini
presidente di Confindustria Modena
IL RUOLO POLITICO DELL'IMPRESA
L’impresa è un “animale politico”. Forse potremmo reinventare così l’insegnamento aristotelico che costituisce uno dei pilastri portanti della cultura occidentale.
È noto che Aristotele attribuiva all’aggettivo “politico” il significato originario di “attinente alla polis” ovvero alla città-stato della Grecia antica, alla comunità.
La forma di vita dell’uomo è essenzialmente il gruppo, la comunità, la città.
L’uomo ha bisogno dell’altro per potere vivere, per potere tendere alla felicità, al benessere del proprio spirito e di quello degli altri, con i quali è in comunicazione. Ne discende che l’individuo è concepibile solo a partire dalla sua natura comunitaria, dalla sua spontanea tendenza a fare comunità, a fare gruppo.
Tutto ciò, però, non è in contraddizione con l’individualità, con la necessità dell’individuo di poter disporre di un proprio spazio di affermazione individuale. Anzi, l’affermazione personale si misura proprio nell’ambito della comunità, senza la quale sarebbe priva di qualunque valore, perché resterebbe priva di qualsiasi riconoscimento.
Ebbene, tutto ciò non è forse applicabile anche all’impresa in quanto tale?
Non è forse altrettanto vero che l’impresa può vivere solo in una dimensione sociale che è il mercato e, in una visione più ampia, l’intera società sempre più globalizzata?
D’altra parte, l’impresa è essa stessa comunità, una polis all’interno della quale si esprimono gli individui.
E allora se tutti gli uomini, pur in forme diverse, “fanno politica” nel senso che vivono e partecipano al governo delle comunità nelle quali si collocano, queste ultime ad un livello di aggregazione superiore devono fare altrettanto.
Le imprese costituiscono delle comunità che come tali vanno governate, stimolate verso lo sviluppo e la riuscita. Tuttavia sono a loro volta dei soggetti in grado di esprimersi all’interno di altre dimensioni sociali, si accomunano e si aggregano.
Da qui nascono le associazioni, dapprima semplici comunanze di interessi, poi veri e propri soggetti politici, che non possono non partecipare attivamente al governo delle città, dei territori e infine delle nazioni.
È scontato e ovvio che le imprese nel giocare un ruolo politico, anche e soprattutto tramite le loro associazioni, non si devono sostituire e tanto meno aggregare ai partiti.
Il motivo è lapalissiano: ambedue queste tipologie di aggregazioni partecipano al governo della società, ma con ruoli, funzioni, mezzi e modalità profondamente diversi, sebbene entrambe dovrebbero tendere a un fine ultimo comune e globale: il benessere dell’uomo nella sua dimensione sociale.
Io credo che la consapevolezza di tutto ciò nei nostri imprenditori sia ormai ben radicata, così come il desiderio di apportare alla comunità il proprio contributo costruttivo non solo nella forma del mero benessere economico.
Forse, però, nel nostro paese non tutti sono concordi nel riconoscere e legittimare questo ruolo politico sociale dell’impresa e questo costituisce ancora uno degli ostacoli alla piena affermazione dell’individuo nel suo valore sociale.