Numero 28 - La politica del tempo
Hamid Sadr
dissidente iraniano
LA DISSIDENZA INTELLETTUALE IN IRAN
Qual è in questo periodo la situazione nel suo paese? Come si può definire la politica? C’è separazione tra politica e religione?
Purtroppo, nel periodo successivo alla presa del potere di Ruhollah Khomeini i confini tra politica e religione si sono di nuovo confusi. Fino ad allora, l’Iran era uno Stato laico e secolarizzato. Dal 1906 vivevamo con una costituzione dello stato laica. Anche se ovviamente c’era spazio politico per le classi clericali. Khomeini ha voluto cambiare le cose e fondare uno stato islamico, scontentando così molti mullah e ayatollah che pensano, come noi, che sia meglio che l’Islam non entri nella sfera del potere politico. Questo anche perché gli uomini sono sempre meno religiosi rispetto al passato. La questione della separazione tra politica e religione è molto accesa.
In questo campo come intervengono gli intellettuali? Appoggiano il regime o sono dissidenti?
Alcuni lo appoggiano, altri no. All’inizio molti intellettuali e artisti appoggiavano la rivoluzione. Poi, molto lentamente, sono diventati dissidenti. Col tempo hanno anche ricevuto pressioni dallo stato. Io, fin dall’inizio, sono stato contrario. Anche se ero sfavorevole alla situazione dittatoriale precedente, non ho mai visto la rivoluzione come un cambiamento veramente positivo. Avendo studiato scienze politiche, avevo inteso la differenza tra uno stato secolarizzato e laico e uno religioso. Dopo la rivoluzione, fui invitato in Persia dal movimento democratico di Mossadegh, che era stato allontanato nel 1953 attraverso un golpe, ma rifiutai. Tra l’altro, ero organizzatore delle attività di opposizione al regime iraniano, attraverso questo movimento di resistenza. Nel frattempo mia madre era morta e avevo un forte desiderio di andare sulla sua tomba, ma me lo sono negato perché non mi facevo illusioni nei confronti di uno stato islamico e la storia in seguito mi ha dato ragione. Gli altri intellettuali lo hanno capito molto più lentamente. C’erano pochi intellettuali contrari alla rivoluzione, ma questo non vuol dire che siano stati in pochi a essere sottomessi.
Purtroppo, hanno perso credibilità e influenza sulla massa. Comunque, continuiamo a lottare, sappiamo di rappresentare l’ottantacinque per cento dell’opinione comune, ma siano senza potere e continuamente colpiti da rappresaglie. L’ottantacinque per cento delle persone è contro il regime, però non ha potere politico; si stima, infatti, che solo il quindici per cento sia d’accordo con la situazione attuale.
Lei ha parlato di repressione dei civili. Come avviene?
Le faccio un esempio. Avevo un amico filosofo, dalle idee molto moderne, ma che non si era mai interessato alla politica. Venne fermato, anche se estraneo alla politica, e tenuto in prigione. Non sappiamo cosa sia successo lì dentro, ma quando ne è uscito, ha ritirato tutte le sue teorie e i suoi scritti. Almeno nove scrittori, di cui ho letto i libri e che conoscevo, sono stati uccisi. Appartengo alla Federazione degli Scrittori iraniani, di cui sono corrispondente per l’Europa, ma non sono neppure io al sicuro. In passato per esempio ho lavorato con il primo ministro del dopo Khomeini, che è stato trovato e ammazzato all’estero. Questi sono due tra mille esempi. La situazione è terrificante e il prezzo per la resistenza è troppo alto.