La Città del Secondo Rinascimento

Numero 28 - La politica del tempo

Paolo Moscatti
amministratore delegato di Tec-Eurolab, Campogalliano (MO)

ALLA CONQUISTA DEI TIFOSI

L’impresa compete in un territorio in cui operano diversi soggetti, ma, a differenza di una squadra di calcio, che può ottenere grandi risultati e vincere anche in campo avverso, dove gli altri fanno il tifo contro, l’impresa non sfrutta in pieno le proprie possibilità, se opera in un territorio dove non ha tifo a favore. È chiaro che deve meritarsi i tifosi, ma se li merita, competere è più semplice e di un’impresa competitiva beneficia l’intero territorio.

Tra le tante definizioni di politica e d’impresa, vorrei citare le due più semplici: la politica come arte di governare le società e l’impresa come attività economica, professionalmente organizzata, al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. Questa definizione d’impresa è tratta dal Libro V del Codice Civile, libro del lavoro. Allora, c’è qualcosa che unisce molto strettamente impresa e lavoro. E dove appare la parola lavoro nella nostra vita quotidiana? Nel primo articolo della Costituzione italiana: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Quindi, non si può dire che l’impresa, come il lavoro, non abbia un ruolo centrale nella vita del paese, per questo motivo mi sento autorizzato a considerarla come centro dell’attività di una nazione.

Ma poi vorrei dire che la politica dell’impresa si può suddividere in politica nell’impresa, politica dell’impresa, verso il territorio, e politica per l’impresa, politica del territorio e delle istituzioni verso l’impresa. E, dunque, vorrei definire la politica nell’impresa come arte di governare un’organizzazione volta alla creazione e allo scambio di valore; la politica dell’impresa come arte d’interagire con gli stakeholders esterni, per determinare condizioni che favoriscano il compimento della missione aziendale nel creare e distribuire valore; e la politica per l’impresa come arte di governare l’insieme dei fattori sociali, economici e strutturali, volti a favorire le imprese che creano e scambiano valore.

L’impresa ha una missione: creare valore. Non dico “profitto”, ma “valore”. E nel valore che crea un’impresa c’è sicuramente un valore tangibile, che possiamo leggere sui bilanci d’esercizio e che è imprescindibile da qualsiasi attività imprenditoriale, e un altro valore, quello intangibile, difficile da valutare. Il capitale intangibile può essere suddiviso in capitale umano – le persone e le loro competenze – e capitale strutturale – brevetti, procedure, banche dati, relazioni con l’esterno, e così via. È chiaro che l’intangibile strutturale è un capitale importante e decisivo, ma come valutare il capitale umano? Siamo molto bravi a valutare le competenze tecniche, un po’ meno quelle trasversali, che hanno a che fare con il sapere, il saper essere e il comunicare, perché comunicare bene e velocemente oggi vuol dire vantaggio competitivo. Ma poi, tolte le competenze tecniche e quelle trasversali, tutto ciò che resta va a formare un altro capitale, il capitale intellettuale soggettivo, che ha a che fare con la cosiddetta cultura individuale e con i valori di riferimento della persona. Se una persona ha competenze tecniche e trasversali, ma è animata da valori, o disvalori, che non corrispondono a quelli dell’azienda, difficilmente riuscirà a dare il massimo. È molto difficile valutare le competenze trasversali e il capitale intellettuale soggettivo. Tuttavia, possiamo ipotizzare una traduzione in comportamenti osservabili di tali competenze. La mappa delle competenze è difficile da fare, richiede molto impegno, però può essere un elemento decisivo nello sviluppo delle nostre aziende e della politica nelle nostre aziende, nella politica di valorizzazione delle persone.

Vorrei passare adesso alla politica dell’impresa, l’arte d’interagire con gli stakeholders esterni, che dovrebbe avere il compito di raccontare l’impresa e diffondere cultura d’impresa. La cultura d’impresa non si misura nel bilancio, è un insieme di valori, e delle relative norme, adottati e riconosciuti dall’impresa. Quindi, può essere fatta di orientamento alle persone e alla loro valorizzazione, di orientamento alla sicurezza, all’innovazione, ai clienti, alla collaborazione, al servizio, alla flessibilità. Le aziende sono un esempio di apertura e di dialogo con il mondo e sviluppano la capacità di lavorare in team, superando egoismi e particolarismi, che all’interno delle aziende sono solo un ostacolo.

Ecco allora il valore intangibile creato e distribuito dall’impresa, al suo interno: se si riesce a coinvolgere il capitale intellettuale e a dare condivisione degli obiettivi dell’impresa, si ottiene motivazione, indispensabile affinché i collaboratori facciano il tifo per la propria azienda.

Il valore intangibile esterno, invece, è dato dalla responsabilità sociale dell’impresa, dall’integrazione volontaria nel contesto sociale e ambientale, che permette d’interagire con le istituzioni e le realtà locali, quando c’è l’occasione e l’opportunità. Questo crea valore sociale e tifo per l’impresa.

Allora, passando alla politica per l’impresa, possiamo esigere che un’impresa che realizza in modo etico la missione di creare e distribuire valore meriti il tifo delle istituzioni? Ebbene, purtroppo, nel nostro paese non lo abbiamo. E lo vediamo ogni volta che dobbiamo fare operazioni semplicissime come prendere in affitto un capannone spostandovi un’attività che già avviene in un’altra sede, quindi sappiamo esattamente che cosa si farà, come e quali saranno i rischi: ci vogliono mesi per avere i permessi, con il cliente che aspetta e gli impianti che sono stati acquistati, montati e pagati. Ma, se i tifosi non capiscono che è loro interesse fare tifo per l’impresa, poi non stupiamoci se l’impresa va a giocare da un’altra parte, dove è più facile e dove i tifosi non mancano.

In conclusione, capitale finanziario, capitale intellettuale e tifo per le nostre imprese danno competitività non solo all’azienda ma a tutto il territorio e all’intera collettività.