Numero 28 - La politica del tempo
Carlo Monaco
docente di Dottrina dello Stato all'Università di Bologna
INDIVIDUO E ISTITUZIONI PER LA MODERNITÀ
Poiché siamo abituati ad associare alla parola democrazia il concetto di progresso, il libro di Alain-Gérard Slama, La regressione democratica (Spirali), già nel titolo è una provocazione. La sinistra italiana ha sempre formulato come teoria politica di riferimento la democrazia progressiva, l’unica teoria che giustificava il socialismo come compatibile con la democrazia. Infatti, dal riconoscimento esplicito, durante gli anni settanta, che una teoria dello stato socialista in senso marxiano non esistesse, la sinistra italiana si è ancorata all’idea di una democrazia progressiva, per la quale nella società democratica, a poco a poco, s’inseriscono elementi di socialismo, fino a divenire una società di uguali di modello superiore. La tesi di questo libro, invece, è controcorrente, perché fa una diagnosi da cui risulta che la democrazia negli ultimi anni procede a ritroso.
Partendo dalla situazione statale e culturale francese, l’Autore ritiene che in Francia questa regressione democratica sia molto consistente e assume a paradigma il riferimento al fatto che proprio la Francia è la patria della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino, del 1789, e il paese culla dell’illuminismo. Il suo giudizio, poi, si estende ad altri paesi democratici: in particolare, afferma che per l’Italia regredire dalla democrazia è difficile, perché non è mai arrivata a livelli avanzati da cui regredire.
In un’intelligente introduzione, l’Autore invita a chiederci se le cause di questa regressione siano da ricercare in processi di tipo economico sociale o se occorra insistere su processi di tipo istituzionale, oppure se non si tratti di un processo culturale, che investe la mentalità collettiva, gli stati d’animo, qualcosa di più profondo rispetto alle istituzioni. Anticipo subito che per Slama si tratta di una regressione di tipo culturale.
Sono d’accordo con lui, anche se molti autori, pur condividendo la visione regressiva della democrazia, insistono su altre cause. Sul primo terreno, quello economico sociale, troviamo prevalentemente pensatori che appartengono alla tradizione marxista e che, dunque, credono nel materialismo storico, per cui i fatti economico sociali sono il vero motore della società. Per esempio, il grande storico del marxismo Eric Hobsbawm insiste sul fatto che il processo di liberalizzazione è la causa fondamentale per cui la società non è più in grado di affrontate il futuro con sufficiente fiducia nel progresso. Secondo lui, i processi di mondializzazione delle forze in campo inducono di fatto un’incapacità di guidare lo sviluppo e dunque una perdita del sistema.
Il secondo punto, il processo istituzionale, viene analizzato attentamente nel libro, soprattutto in riferimento alla rivoluzione francese e alla regressione della democrazia per problemi intrinseci. Per esempio, il fatto che la democrazia, in quanto fondata sulla teoria della partecipazione, ha da sempre dovuto fare i conti con l’esigenza che il cittadino sia sufficientemente informato, essendo colui che sceglie, come elettore, come consumatore, attivo nelle sedi decisionali. Esiste una teoria politica, la cosiddetta democrazia deliberativa, che prova che, se il cittadino viene informato in modo adeguato, decide meglio.
Slama non sviluppa a lungo questo aspetto, ma si sofferma, invece, sul tema culturale, e io sono d’accordo con lui. La diagnosi che fa nel libro è in netta controtendenza. Spiega che tutta la cultura politica moderna, e aggiungo anche antica, si è sempre giocata attorno a due grandi concezioni della vita sociale. Da una parte troviamo gli individualisti, coloro che ritengono che la persona sia il vero portatore di ogni processo culturale, coloro che hanno messo al centro dell’analisi sociale il ruolo della persona e l’esigenza di costruzione dell’ordine sociale basato sullo strumento del contratto. I teorici della politica hanno spesso sottolineato che la lettura individualistica è più normativa che descrittiva, ma tutto il pensiero moderno va in questa direzione. Dal calvinismo a Immanuel Kant, la modernità consiste in questo. Quando Kant si chiede che cos’è l’illuminismo, nel suo memorabile saggio Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo?, la risposta è che la società illuminista è quella in cui le persone sono maggiorenni e non delegano più al prete, al partito o al confessore le loro decisioni. L’autonomia individuale è la più grande conquista.
Dalla parte opposta troviamo il cosiddetto spirito comunitario, che ha il suo riferimento nella famiglia, nella razza, nell’etnia, nel popolo e in una serie di concetti intrinsecamente organici. Mi sembra che lo spirito comunitario che, nell’accezione corrente in Italia, in una cultura post comunista, ha assunto connotati molto positivi, avvicinandosi a termini come solidarietà, volontariato e altruismo, nel libro venga ricondotto a una vecchia concezione di spirito clientelare, mafioso, socialmente immaturo, pre-kantiano, pre-illuministico, feudale, incentrato su un concetto di fedeltà. E la tendenza regressiva della democrazia consisterebbe proprio nel portare sulla scena politica una serie di concetti incompatibili con la tradizione illuministica.
Spero di aver dato così una chiave di lettura del libro. Ma vorrei aggiungere che, da politico, sono rimasto molto sfiduciato quando ho letto, nell’ultima parte, l’invito a puntare al diritto alla felicità, perché la svolta può avvenire con mutamenti culturali, con l’educazione e con il cambiamento della mentalità di massa. Pur condividendo lo spirito di questo appello, ritengo inefficace pensare che saranno la pedagogia e le buone idee a cambiare la mentalità della gente. Preferirei che non si rinunciasse a innovazioni sul terreno dell’economia e ancor più delle regole istituzionali. Le istituzioni restano, mentre le convinzioni sono mutevoli e le buone istituzioni non possono essere sostituite dalla buona educazione o da una modifica antropologica delle persone.