Numero 29 - La scrittura del pianeta
Luciano Patorno
ingegnere, presidente della Sipatech S.r.l.
COME OTTENERE BIOETANOLO DAI RIFIUTI
Una vera e propria rivoluzione sta arrivando nel settore delle fonti rinnovabili di energia. Qual è la novità straordinaria che sta introducendo sul mercato la sua società, la Sipatech, che collabora con la scienziata Nancy Ho del Molecular Biologist (Purdue University’s Laboratory of Renewable Resources Engineering), nell’Indiana?
Dopo quattordici anni di ricerca, è stato messo a punto un enzima geneticamente modificato che permette la trasformazione di biomasse biocellulosiche in bioetanolo per autotrazione. La ricercatrice Nancy Ho è partita dai Saccharomyces cerevisiae, enzimi che hanno una funzione fondamentale nelle fermentazioni da cui si ottengono il vino e la birra perché trasformano il glucosio e lo xilosio, due zuccheri, in etanolo. Non solo i fogli di carta e gli involucri per alimenti, ma anche l’involucro dei chicchi del grano e di altri cereali, i cartocci delle pannocchie, i residui della lavorazione della canna da zucchero, gli steli del mais, i residui e le eccedenze di coltivazioni agricole, il legno, la segatura, l’erba, le ramaglie, i rifiuti industriali delle cartiere e persino i rifiuti solidi urbani (gli RSU) possono essere convertiti in bioetanolo, attraverso un processo di fermentazione. È un processo completamente naturale, lo stesso utilizzato da secoli per produrre la birra o il pane, che permette di raggiungere coefficienti di trasformazione altissimi, fino al 40 per cento, a seconda della quantità di materiale organico presente nella biomassa.
Le ricerche della biologia alle quali fa riferimento questa tecnologia si possono far risalire a uno studio dell’esercito americano che, durante la seconda guerra mondiale, nel Sudest asiatico, voleva capire che cosa dissolvesse letteralmente tutti gli indumenti dei militari. Scoprirono che era responsabile di questo fenomeno un lievito che faceva fermentare tutto ciò che era organico. Da lì fu dato il via a una serie di studi che hanno portato alle tecnologie da noi utilizzate oggi.
Negli ultimi quattordici anni, sono stati effettuati numerosissimi test di laboratorio, da cui sono stati ricavati lieviti particolari, ricombinati, l’ultimo dei quali, il 424A (LNH-ST), viene utilizzato a livello industriale ormai da quattro anni in Canada: da una tonnellata di paglia, la Petr-Canada di Montreal ottiene 320-340 litri di etanolo, che poi mette in vendita per la miscelazione al 10 per cento con la benzina.
In questo modo si riesce anche a dare una risposta all’attuale allarmante incremento dei prezzi dei cereali che ha conseguenze drammatiche per i paesi più poveri?
Certo, utilizzando come materie prime soltanto i residui forestali e agricoli o urbani, non distogliamo preziose risorse all’alimentazione umana. Per questo possiamo dire che il bioetanolo ricavato con il processo enzimatico attraverso la trasformazione del solo glucosio non è un prodotto veramente alternativo ai combustibili di origine fossile. Le biomasse rinnovabili di origine lignocellulosica costituiscono invece una riserva energetica inesauribile, molto economica, a volte addirittura priva di costi e di dannose emissioni nell’ambiente.
Quindi, oltre ad avere un contenuto netto di energia tre volte più alto dell’etanolo tradizionale, il nostro bioetanolo elimina fino al 75 per cento dell’anidride carbonica e abbatte del 5-10 per cento le emissioni di ossidi d’azoto e di zolfo, è privo di metalli pesanti e azzera i particolati, le polveri sottili, è biodegradabile, non spreca le risorse d’acqua del pianeta e, al contrario, contribuisce a liberarlo da buona parte dell’immondizia. Può alimentare già da oggi i propulsori Flex fuel montati su numerosi modelli di vetture e costa, alla produzione, 30 centesimi di euro il litro, esattamente come la benzina verde e la metà dell’etanolo distillato dal mais o dalla canna da zucchero.
Il Protocollo di Kyoto invita gli stati firmatari a realizzare l’obiettivo del 7 per cento nell’impiego di carburanti di origine agricola entro il 2010 e del 20 per cento entro il 2020. Com’è stato recepito questo dalle direttive comunitarie?
La direttiva 2003/96/CE ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e sancisce, all’art. 16, la possibilità per gli Stati dell’Unione di applicare esenzioni o riduzioni aliquote di imposta su una serie di prodotti tra cui l’alcool etilico. La direttiva sui biocarburanti 2003/030/CE esorta gli stati membri a provvedere affinché una percentuale minima di biocarburanti sia immessa sui loro mercati e a definire degli obiettivi indicativi nazionali, fissando al 2 per cento la quota di mercato di riferimento per il 2005 e al 5,75 per cento quella per il 2010.
La maggior parte degli stati europei oggi sta muovendosi fortemente in questa direzione, ma utilizzando ancora le materie prime di origine alimentare.
In Svezia sono arrivati a utilizzare l’etanolo anche sul motore diesel: già da quattro o cinque anni tutti gli autobus di Stoccolma vanno a etanolo. Quando conosceranno questa tecnologia, vi si tufferanno letteralmente perché derivare l’etanolo dal legno per via chimica, come fanno attualmente, ha costi notevolmente maggiori. Ma non ci vorrà molto perché il mercato si renda conto di questo salto tecnologico enorme.
La Sipatech è l’unica in Europa e insieme alla Green Tech America, la società con cui ha collaborato nel mondo in grado di produrre, vendere e migliorare questo prodotto. Oltre che in Canada, esistono bioraffinerie che utilizzano la vostra tecnologia?
In Pennsylvania è in costruzione una bioraffineria e in Cina il nostro brevetto è visto come una grande risposta alla fame di energia di quel paese.
Stiamo progettando alcuni impianti anche in Italia, dove presto sorgerà il laboratorio per la produzione degli enzimi, soprattutto quelli di terza generazione che daranno rese ancora maggiori.