Numero 29 - La scrittura del pianeta
Matteo Scaglietti e Francesco Terrano
avvocati, soci dello Studio di consulenza in proprietà intellettuale F&M, Modena
LA TUTELA DEL MADE IN ITALY
In un recente convegno all’APMI di Modena, lo Studio F&M è intervenuto sul tema della tutela del marchio e del design come indicatori dell’eccellenza dell’impresa italiana…
Alla base di un successo commerciale, c’è sempre anche uno studio sui contenuti più indicativi di un prodotto e dei messaggi promozionali che l’impresa vuole comunicare al mercato. Tale studio concerne anche le suggestioni derivanti dalla forma del prodotto. Ebbene, anche questo tipo di creatività deve essere oggetto di tutela attraverso il conseguimento di diritti di esclusiva industriale. Così scopriamo, analizzando le banche dati dei marchi e dei design, che la forma di un modello di scarpa è stata oggetto di più registrazioni: come design, ma anche come marchio di forma. Si ricordi, infatti, che il marchio può essere costituito anche da una forma e non solo da un logo o da una parola. Il marchio di forma anzi è uno strumento sofisticato che viene adottato da molte società. Un simile tipo di tutela ha due funzioni. La prima è quella di conseguire un diritto di esclusiva riconosciuto. La concessione governativa che segue alla registrazione, infatti, fa acquisire un diritto di monopolio e dunque il potere di vietare a terzi l’impiego di elementi uguali o simili ai propri. La seconda funzione, strettamente legata alla prima e da questa dipendente, consiste nel creare un forte deterrente nei confronti di un eventuale contraffattore, Quest’ultimo, infatti, non bisogna mai dimenticarlo, ragiona secondo una logica “economica”. Un eventuale contraffattore, molto verosimilmente, verificherà se le forme che ha intenzione di usurpare sono state tutelate. E, se così è, probabilmente ritenendo rischiosa l’operazione, egli rivolgerà la propria attenzione ad altri elementi non oggetto di tutela.
Come combattere le contraffazioni del Made in Italy?
La prevenzione è sempre meglio della cura, costa meno, è più semplice e dà risultati migliori. La cura invece, oltre a costare di più, porta con sé il rischio che non vada a buon fine. Oltre agli strumenti di prevenzione di cui abbiamo parlato nelle interviste precedenti, come la sorveglianza doganale, vorrei introdurre un altro strumento importante: quello della tutela preventiva a livello contrattualistico. Troppo spesso, per esempio, si riscontra il comportamento dell’imprenditore che sposta la propria produzione in paesi terzi e non tiene conto della predisposizione di idonei strumenti contrattuali che consentano che il rapporto produttivo si svolga con dinamiche capaci di garantirne l’efficacia e la sicurezza. Se, per esempio, un imprenditore ordina al suo fornitore la consegna del prodotto entro, per esempio, l’8 luglio 2008, deve avere un contratto che, attraverso una serie di strumenti (per esempio delle penali in caso d’inadempimento), eviti che il prodotto arrivi dopo il termine stabilito. È importante un contratto che garantisca la fissità del termine di consegna, ma anche che il processo produttivo avvenga con gli standard qualitativi che l’imprenditore indica e impone.
Un altro aspetto di cui occorre tenere conto nei contratti concerne le quantità prodotte. Se, per esempio, l’imprenditore chiede cento capi di abbigliamento a un suo fornitore, questi, sapendo che può esserci una percentuale di prodotti difettosi, di norma ne fa centoventi. Questa prassi è giusta, ma bisogna prevederla e disciplinarla nel contratto. Occorre, in particolare, evitare l’effetto perverso per cui il fornitore produce prodotti in eccesso che non dà all’imprenditore, ma veicola poi sul proprio mercato attraverso altri canali. Può sembrare strano, ma nella maggior parte dei casi, soprattutto nel settore dell’abbigliamento, gli imprenditori non stipulano contratti di fornitura, ma regolano i loro rapporti attraverso semplici ordini di produzione. Questo rende molto difficile la cura, come dicevamo, delle eventuali patologie dei processi produttivi, da cui possono scaturire danni ingentissimi.
Infine, è importante parlare della scelta del diritto applicabile ai contratti di fornitura. Molto spesso, l’imprenditore italiano, redigendo il contratto, prevede l’espressa applicazione del diritto italiano e pensa così di essere tutelato dalle incognite di diritti locali diversi dal nostro. In realtà, possono esistere a seconda degli stati interessati specifiche normative che si applicano in ogni caso ai rapporti contrattuali che hanno luogo nel paese. Se un imprenditore, per esempio, lavora con la Turchia, dovrà considerare che in quel caso il contratto ha esecuzione in Turchia. Così al suo contratto si applicherà il diritto italiano, in quanto da esso richiamato, ma si applicherà anche quella parte di diritto turco che prevede inderogabilmente che determinati rapporti che nascono in territorio turco verranno disciplinati dal diritto di quel paese. Quindi, ciascuna volta, occorre redigere un contratto, farne verificare la validità al corrispondente del paese interessato, nel nostro esempio turco, e capire prima a che cosa si può andare incontro. Per fare un altro esempio, la legge locale di uno stato può prevedere che, affinché un’impresa locale possa essere sottoposta a un diritto straniero, il giudice deve leggere il contratto e, preventivamente, dare un nullaosta; senza tale nullaosta, la scelta del diritto italiano, per quanto scritta e sottoscritta, non ha valore.
Come possiamo constatare, dunque, piccole cautele preventive a livello contrattuale aiutano sensibilmente a evitare situazioni di grande difficoltà.