Numero 22 - La cura del tempo
Lia Fernanda Piola
oncologo, medico di Medicina Generale ASL di Bologna
QUALE MEDICO? QUALE PAZIENTE?
In campo oncologico, per potere affrontare la patologia insieme al paziente e alla sua famiglia, è fondamentale fare una diagnosi precoce. La famiglia del paziente è coinvolta e travolta dalla situazione patologica del congiunto malato, che può avere un’età variabile: può essere un bimbo, un giovane, una persona in piena attività lavorativa oppure un anziano. A partire dalla mia esperienza ormai più che trentennale, posso affermare che le patologie oncologiche stanno colpendo tutte le fasce di età, ma ultimamente soprattutto persone dai quarantacinque ai sessant’anni. Questa fascia di età ha subito infatti un notevole incremento di casi, in particolare con la patologia prostatica negli uomini, ma anche con le patologie polmonari nelle donne, per cui non possiamo più porre distinzioni in base all’età. Naturalmente, vengono colpiti anche gli anziani: ho in cura donne di ottant’anni con un tumore alla mammella, nonostante non abbiano più un’attività ormonale che potrebbe giustificare questo tipo di neoplasia. Alcune persone convivono con le loro neoplasie per anni: un mio paziente di novantacinque anni ha avuto la diagnosi di tumore alla prostata a ottantacinque, morirà probabilmente per altre cause.
È possibile fare una diagnosi precoce corretta. Per prima cosa è fondamentale avere un buon rapporto con il paziente, che, molto spesso, non si fa visitare. Ultimamente ho obbligato un uomo di sessant’anni a sottoporsi a una visita approfittando della presenza delle tirocinanti. Purtroppo, la sua patologia era ormai gravissima. Adesso sta effettuando un ciclo di terapie, ma non si era mai fatto visitare perché era convinto di stare benissimo. Ricevo persone di tutte le età e di tutti i ceti sociali che vengono da varie regioni d’Italia e anche dall’estero. Normalmente, i giovani sono molto attenti, magari perché hanno vissuto situazioni familiari patologiche che li hanno coinvolti e quindi temono per il loro futuro. La prima cosa che chiedono è di poter fare, oltre alla visita, tutte le analisi, ma sono moltissime, mentre noi dobbiamo fare una scelta in base alla sintomatologia. Inoltre, ci poniamo davanti alla necessità di accogliere questa richiesta, consapevoli che l’economia aziendale pone limiti, quindi, occorre richiedere un numero di analisi che non sia eccessivo ma che, contemporaneamente, esprima qualcosa. È importante valutare anche i tempi secondo cui gli esami vengono eseguiti. In generale, si può partire da una lastra al torace e da un’ecografia addominopelvica, per poi passare agli esami ematologici, nei quali si possono richiedere anche i marker neoplastici, che sono più o meno da considerare con attenzione ma che non sempre danno una risposta; in alcuni casi, possono non essere aumentati anche se il paziente è malato. Gli esami effettuati devono essere poi modulati nel tempo fra loro e seguiti in modo particolare: non è detto che da una TAC si possa capire tutto, in alcuni casi è necessaria una risonanza magnetica, o anche tecniche nuove, come la PET, che permette di valutare attentamente alcune situazioni in modo più approfondito; anch’essa, però, va valutata globalmente insieme alla sintomatologia e alla situazione del paziente nel suo complesso. I tempi sono lunghi e bisogna valutare anche che non sempre i giovani hanno grandi possibilità economiche. Con la mutua si spendono circa trentacinque euro per pagina, quindi accade che i pazienti vogliano spesso fare gli esami distribuiti nel tempo, ma nel caso di una diagnosi precoce questo non sempre è possibile. Inoltre, dobbiamo tenere presente che non tutti i medici di medicina generale conoscono le terapie alternative o di supporto, o magari non sanno dove indirizzare il paziente per effettuarle, quindi occorre che vengano ulteriormente informati. C’è stato il periodo in cui si parlava molto della somatostatina, che ha funzionato solo per alcune patologie, per i tumori APUD in particolare, per cui veniva consentita anche dal Sistema Sanitario Nazionale. Anche lo studio sull’angiostatina e la termoterapia sono importantissimi, ma spesso i medici di medicina generale sono scettici e accade che il paziente oncologico affronti determinati tipi di terapia quando ormai non c’è più nulla da fare. Questa è la verità, ed è per questo che le terapie alternative poi non possono più funzionare. Quindi, va valutata globalmente la situazione del paziente, caso per caso; poi, soprattutto, bisogna conservare sempre la fiducia del paziente e mantenere costante la sua qualità di vita.
Qual è il motivo per cui qualche volta il paziente si allontana dal medico? Se il medico gli conferma, anche nel modo più gentile e più giusto, il tipo di patologia, il paziente vede in lui la causa della sua patologia e non chi l’ha scoperta, e spesso, quando la patologia è gravissima, sono gli stessi familiari ad accusare il medico d’incuria nei confronti del paziente, che magari non si era mai fatto visitare oppure non aveva sintomi particolari.
È molto importante potenziare le difese immunitarie del paziente, e su questo concordo con Paolo e Elisabetta Pontiggia, perché spesso i pazienti sottoposti a grandi stress che deprimono l’attività immunitaria, a dolori, a lutti, dopo un po’ manifestano il tumore che probabilmente si sarebbe slatentizzato più avanti nel tempo. Quello che colpisce è la familiarità dei tumori: tumori degli organi dell’escrezione, dei polmoni, della vescica, dell’apparato genitale femminile sono collegati chiaramente al papilloma virus, all’herpes virus, eccetera. Quindi, io ritengo che le norme igieniche che le persone usano con chi ha l’influenza o il raffreddore vadano usate anche nei confronti dei pazienti oncologici che abbiano una patologia molto a contatto con l’esterno, cosa che nessun medico dice ai pazienti e che invece è importantissima. Non sto dicendo che i tumori sono malattie infettive, dico che comunque le cautele vanno usate con ogni tipo di patologia.