La Città del Secondo Rinascimento

Numero 24 - Il valore dell'impresa

Filippo Borghi
presidente di GB Group, vice presidente di Confindustria Modena

CRESCERE È INDISPENSABILE

In un momento in cui si parla tanto dell’esigenza di aumentare le dimensioni delle nostre imprese per consentire loro di vincere le sfide del mercato globale, GB Group è un esempio straordinario dei risultati che si possono ottenere seguendo una strategia di continue acquisizioni, anziché di delocalizzazione della produzione. Quando è incominciata la vostra politica di espansione?

La storia di GB risale al 1962, quando Ermanno Gasparini e Mario Borghi, nostro padre, fondarono la GB Ricambi, acronimo dei loro cognomi. Oltre a avere sposato due sorelle, i due soci avevano in comune una notevole esperienza nel settore dell’artigianato meccanico: le loro aziende producevano ricambi non originali per trattori e macchine movimento terra. La costituzione della società di fatto creava un gruppo familiare che avrebbe sfruttato in pieno le opportunità offerte da un floridissimo mercato, in cui le richieste erano in costante aumento mentre, dall’altra parte, le aziende produttrici non avevano una grande attenzione per i ricambi. Specializzarsi nella produzione di ricambi non originali fu quindi un’idea vincente. Poi, sfortunatamente, nel 1973 mio padre morì e la società continuò a essere gestita dall’altro socio fino al 1980, quando mio fratello, Stefano, incominciò a occuparsi della parte produttiva. Io invece entrai più tardi, dopo la laurea in Economia e commercio, per occuparmi soprattutto dell’amministrazione e della finanza. Se nei dieci anni successivi GB ha stabilizzato il suo business, l’avvento della globalizzazione e le nuove regole di mercato hanno imposto scelte dinanzi a cui, nel 1996, sono iniziate le prime divergenze tra i soci. Il confronto è stato lungo e intenso, ma all’inizio del ’99, abbiamo deciso di fare uno sforzo per acquistare l’altro cinquanta per cento della società e da lì è incominciato quel percorso di crescita che ci ha portato nel 2000 ad acquistare la Ghinassi di Ravenna, nel 2002 la Cervetti, nel 2004 l’American Crane & Tractor, nel 2005 la Teran Tractor e all’inizio di quest’anno il Gruppo Bepco, che ha la sede centrale in Inghilterra e otto società in vari paesi.

Quando è incominciato il nostro percorso di espansione, nel ‘99, la GB fatturava dieci milioni di euro, mentre oggi detiene il cento per cento di un gruppo che ha trecento dipendenti e che quest’anno fatturerà duecento milioni di euro. Penso che la nostra crescita sia dovuta in gran parte alla capacità di valutare un cambiamento radicale del mercato: alla fine degli anni novanta il consumo dei ricambi tendeva a diminuire, sia perché l’avanzamento costante della tecnologia consentiva alle case produttrici d’immettere sul mercato prodotti che duravano più a lungo, sia perché cambiavano spesso i modelli e i loro componenti. Allora, l’unica strada da intraprendere era quella di allargare la gamma e potenziare la distribuzione in vari paesi, non tanto attraverso società di import-export, quanto attraverso le acquisizioni di società forti nel settore e con caratteristiche complementari alle nostre. Per esempio, l’acquisizione della Ghinassi ci ha consentito di entrare nel settore delle macchine movimento terra della linea produttiva Caterpillar, mentre con la Bepco abbiamo implementato la gamma dei ricambi per trattori agricoli multimarche, e questo perché concentrarsi su un solo brand era penalizzante. Le società che abbiamo acquisito, essendo entrate a far parte del gruppo, chiaramente, danno la priorità alla distribuzione del nostro prodotto. Questo è il motivo per cui abbiamo avuto ottimi risultati. E la nostra formula è quella di mantenere gli ex titolari come manager e azionisti di minoranza, perché gestire società in paesi diversi dal nostro sarebbe abbastanza complicato. Preferiamo che le nostre aziende negli States siano gestite da americani, che capiscono la mentalità e hanno un feeling con i clienti diverso dal nostro. E lo stesso abbiamo fatto in Inghilterra con la Bepco.

Questa è la politica che abbiamo attuato finora e che abbiamo intenzione di proseguire, perché riteniamo assolutamente importante la crescita, che per noi ormai è quasi un percorso obbligato. Chi pensa che basti mantenere le proprie dimensioni per proseguire rischia di tornare indietro, perché oggi i mercati si sviluppano costantemente con dinamiche molto rapide, per cui, se non c’è la massima tensione e una forte volontà di rimanerci, si rischia di esserne tagliati fuori. Una volta si potevano difendere le proprie posizioni più facilmente e oggi non è più possibile, perché è intervenuta, tra l’altro, una vera e propria rivoluzione nella comunicazione, le notizie viaggiano in tempo reale e ogni tentativo di difendere le proprie posizioni si vanifica.

In un’intervista recente, lei diceva che difendere la cultura d’impresa è importante per creare valore che vada a beneficio della società…

Anche come vice presidente di Confindustria Modena, membro del consiglio direttivo regionale e proboviro nella giunta nazionale, tengo molto a difendere la cultura d’impresa. Nel nostro paese, purtroppo, non c’è una grande predisposizione ad appoggiare il mondo dell’impresa, agli imprenditori troppo spesso viene richiesto di contribuire il più possibile ma poi non viene dato loro neppure quel minimo che occorrerebbe alle loro aziende per essere più competitive rispetto a quelle di altri paesi: meno burocrazia e meno vincoli possibili. Un’economia è fiorente se le imprese – industriali, artigianali o commerciali – producono ricchezza. Si può discutere l’impiego di risorse, ma occorre che queste risorse ci siano: talvolta, questo viene dimenticato. Allora, proprio per aumentare la consapevolezza del valore dell’impresa, la nostra Associazione crea occasioni in cui sia evidente il contributo che le imprese danno alla società, non solo attraverso le sponsorizzazioni dell’arte e della cultura ma anche in quanto attività che hanno una continuità e la assicurano a migliaia di persone.