Numero 24 - Il valore dell'impresa
Sergio Dalla Val
cifrematico, brainworker, presidente dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna
IN CASO DI VALORE
Il dossier di questo numero è costituito dagli interventi al forum internazionale Il valore dell’impresa. La sua arte e la sua invenzione per l’avvenire dell’Italia e dell’Europa (Camera di Commercio di Modena, 21 novembre 2006), organizzato dal Brainworker Institute e dall’Università internazionale del secondo rinascimento con la collaborazione di Confindustria Modena e della sua scuola di management, Nuova Didactica. L’occasione di questo forum è stata la pubblicazione del libro dell’economista Roberto Ruozi Il valore dell’impresa (Spirali). Valore non facilmente definibile: infatti, nel suo intervento qui pubblicato, Roberto Ruozi sottolinea l’impossibilità di dare un valore oggettivo all’impresa, come se essa fosse qualcosa di obiettivabile. Eppure, in molti manuali, questo impossibile valore oggettivo diventa un’ipostasi, un valore sostanziale: il valore di un’impresa dipenderebbe dalle sostanze, anche immateriali, che la sostengono. Nel suo intervento, Armando Verdiglione allude a una farmacologia dell’impresa, e non solo perché l’imprenditore e l’impresa procedono spesso sostenuti da vari tipi di psicofarmaci: quando esiste la credenza nella sostanza, dell’impresa non vengono più valutati il progetto e il programma, ma le sostanze, i beni, gli immobili. Il riferimento alla sostanza è un riferimento alla morte: comporta una valutazione basata sulla svendita, sulla liquidazione, in caso di fallimento.
Il termine impresa non designa un oggetto. È stato introdotto da Leonardo da Vinci e da Ludovico Ariosto: quando cantava “le donne, i cavallier, l’armi e le audaci imprese”, le imprese non erano certo beni fissi o circolanti. Erano le gesta, il viaggio, l’avventura. Da allora, se consideriamo l’impresa nel suo viaggio e nel suo itinerario, qual è il suo valore? Quali sono i dispositivi del viaggio? Quale la direzione? Il valore dell’impresa come valore del viaggio non è il valore di un’entità o di un organismo, ma è il valore di un itinerario. È il valore della direzione del viaggio. Non c’è nessun valore andando verso le limitazioni, i ridimensionamenti, le cessioni, lo spezzatino aziendale, che si confronti con la concorrenza e la conflittualità.
Come si scrive l’itinerario? Con quali mezzi organizzativi? Con quali strumenti finanziari? Esistono un progetto e un programma nell’itinerario dell’impresa, ma prima di tutto nella vita di ciascuno? Chi oggi si pone queste questioni essenziali? Constato ciascun giorno l’esistenza di problemi che non vengono considerati dal consulente aziendale e dalle società di revisione e che impediscono la valorizzazione dell’impresa. Il primo problema è l’idea della conoscenza: la conoscenza di sé, la conoscenza dell’impresa e la conoscenza del cliente. Chi crede nella conoscenza non può che fallire, poiché quella che chiama conoscenza non è altro che il pregiudizio. Costruisce così rappresentazioni che non consentono la lucidità, essenziale all’imprenditore. La conoscenza sbarra la strada per l’avvenire, perché è costituita dal ricordo. Un altro problema di chi non osa intraprendere l’impresa o, pur intraprendendola, ne impedisce la riuscita è il ricordo: quando si valutano le cose a partire dal già detto, dal già scritto e dal già saputo. Il ricordo che pesa talora non è mai entrato nella parola, è dato per scontato come “il vissuto”, base per le proprie certezze. Il primo gesto del cifrante e del brainworker è quello di dissipare ogni certezza soggettiva, ovvero le abitudini, le rappresentazioni e le credenze che costituiscono un vincolo per l’impresa. Un’altra cosa che impedisce la valorizzazione dell’impresa è il compromesso fantasmatico. Questo compromesso si attua quando viene creata una complicità all’interno dell’azienda tra un settore e un altro, tra un manager e un altro, quando cioè le rappresentazioni fantasmatiche vengono messe in comune, avallate, accettate. Nella complicità non c’è più la parola libera, la parola originaria cui accenna nel suo testo Anna Spadafora, ma il discorso comune che diviene una guida sorda e cieca dell’azienda. Nel compromesso fantasmatico due discorsi s’incontrano e diventano un animale circolare, in cui uno sostiene l’altro e lo nutre come un serpente che morde la propria coda. In tal modo l’azienda entra nella circolarità e c’è l’istupidimento. Ma il principale compromesso fantasmatico è con se stessi. Nessuno può permettersi questo compromesso, nessuno può essere indulgente, transigente, accomodante, con se stesso. L’imprenditore che lo fosse non avrebbe chance per impedire che altri lo siano e che blocchino l’impresa.
Dal compromesso fantasmatico sorgono i criteri di attendibilità, di sostenibilità e di accettabilità. Con questi criteri tutto ciò che avviene è colto come un segno, positivo o negativo, da assumere o da rigettare. Alla base di questa significazione generale, c’è il vero grande limite per l’impresa: la paura. Paura di sé e dell’Altro, paura della fine di sé e dell’Altro. Nel suo testo, Armando Verdiglione sottolinea che l’imprenditore non ha da credere alla padronanza. Solo partendo dall’idea di padronanza sorge l’idea di morte come fine delle cose: solo le cose finibili sono padroneggiabili, tant’è che Aristotele diceva che non dobbiamo ammettere l’infinito, perché l’infinito impedisce un calcolo compiuto, quindi una conoscenza perfetta. Il rinascimento è sorto con l’introduzione dello zero e dell’infinito, che hanno reso impossibile il sistema della conoscenza platonico-aristotelica, paralizzante per la scienza, l’arte e l’invenzione. Non essendoci più un’origine, da rispettare o da rifiutare, perché c’è lo zero, e non essendoci più la fine, perché c’è l’infinito, possono sorgere le donne, i cavalieri, le armi del rinascimento. E le audaci imprese.
Il secondo rinascimento, allora, non è un concetto sociologico, positivo o negativo: ciascun giorno, l’esperienza è originaria e le cose non dipendono dall’idea di fine, per cui il valore non è qualcosa da cui siamo partiti o un obiettivo da raggiungere, rispetto a cui possiamo fermarci ed essere appagati. L’impresa non è un animale, che nasce, cresce e muore, è impresa in viaggio. Il suo valore non esiste una volta per tutte: l’impresa e il suo viaggio esistono nel processo di valorizzazione, fino a divenire caso di qualità. In caso di valore, non di fallimento.
Quali sono il progetto e il programma di ciascuno, in cui ciascuna fase sia una fase del viaggio, non da cancellare, ma originaria? Come valorizzare l’impresa e la vita stessa? Con il braiworker nessuna psicoterapia, semmai l’instaurazione di dispositivi di parola, cioè organizzativi, finanziari, direttivi perché il progetto e il programma per l’avvenire si scrivano e giungano alla riuscita. Nell’avvenire sta il valore dell’impresa. Roberto Ruozi scrive che il valore si coglie nell’attualizzazione dei flussi futuri del reddito; come dire che non è rispetto all’oggi che possiamo fare una valutazione, ma rispetto all’avvenire.
La valutazione non si compie a partire dal bilancio del presente o del passato ma si scrive con il bilancio dell’avvenire.