Numero 24 - Il valore dell'impresa
Roberto Ruozi
presidente del Touring Club Italiano, già rettore della Bocconi
IL VALORE DELL'IMPRESA
Vi ringrazio per avere riservato un’attenzione particolare al mio libro, Il valore dell’impresa (Spirali).
Parliamo di valore dell’impresa: ma le imprese hanno un valore? Sì, l’impresa è un valore di per sé, è un valore per la società in cui svolge la sua attività e per tutti i suoi cosiddetti stake holders, cioè i portatori di interessi: l’imprenditore, il management, i dipendenti, i fornitori e i clienti. La socialità del valore dell’impresa è tale che in alcuni casi l’impresa s’identifica con il territorio in cui risiede.
Attraverso le testimonianze di alcuni imprenditori, abbiamo appreso come si produce valore in un’impresa. Ciascuno, nel proprio settore, con le proprie particolarità, ha dimostrato come, quasi dal nulla, da un’idea si è sviluppato un grande valore. Il mio libro non si preoccupa di quali sono i modi migliori per produrre valore, ma della misurazione del valore, che è una cosa complessa. “L’impresa in quel momento non costava niente”, ha detto un imprenditore raccontando la sua storia. Non costava niente, ma non valeva neanche niente? Il costo e il valore non sempre sono simili. Un’azienda che non costava niente, probabilmente, già valeva molto. Quindi, determinare il valore di un’impresa non è semplice, anche perché l’esercizio della valutazione dovrebbe condurre a un numero.
Prima riflessione: questo potrebbe far credere che quella che si occupa della valutazione delle imprese sia una scienza esatta. Non è affatto così, anzi, la determinazione del valore di un’impresa dipende da una serie di circostanze la cui valutazione non è un fatto aritmetico, matematico, scientificamente esatto. Per non parlare del condizionamento dell’ambiente: la stessa impresa, posta in un determinato ambiente, rispetto a un’altra, posta in un ambiente diverso, ha un valore profondamente diverso. Chi ha lavorato in paesi instabili, sa che un’impresa ha valore se ha un orizzonte temporale in cui in due anni può ripagare l’investimento effettuato.
Nella determinazione del valore dell’impresa, inoltre, occorre anche intendere qual è l’oggetto della valutazione: l’impresa nel suo complesso, il cento per cento del capitale, il cinquantuno, il quarantanove per cento o un pacchetto del tre per cento? La valutazione della stessa impresa, se è orientata all’uno piuttosto che all’altro obiettivo, dà un valore globale dell’impresa profondamente diverso. Contano anche il settore e il motivo per il quale la valutazione è effettuata. È fatta per vedere quanto l’imprenditore incasserebbe nel caso in cui vendesse il cento, il cinquantuno, il quarantanove, il trenta o il due per cento? Oppure soltanto per dare all’imprenditore un’idea di quale potrebbe essere il valore ai fini della cessione? O ancora in vista di una fusione con un’altra impresa in cui non si scambiano euro contro euro, ma azioni contro azioni, in cui il valore dell’una è condizionato da quello dell’altra, e viceversa? Oppure è semplicemente una valutazione a fini bancari, per ottenere finanziamenti o per andare in borsa?
Anche i metodi di valutazione sono una quantità sterminata. I valutatori, gli specialisti si sono dilettati nel corso degli anni: una volta si valutava il patrimonio, poi si è passati alla considerazione del reddito, poi si è considerata la situazione dei flussi di cassa, poi i metodi si sono estremamente sofisticati. Anche quelli più complicati, comunque, non sono oggettivi, perché la valutazione dipende dal cervello e dalle idee del valutatore. Lo stesso oggetto, la stessa impresa, per lo stesso obiettivo, che utilizzi lo stesso metodo di valutazione può dare risultati diversi a seconda che quel metodo lo applichi un valutatore piuttosto che un altro.
Dopo aver valutato alcune centinaia di aziende in alcune decine di anni di onorato servizio, sono giunto a una conclusione abbastanza elementare e poco scientifica: fra tutti i metodi disponibili sul mercato e ammesso che in particolare la valutazione riguardi un’ipotesi di cessione dell’impresa, sono ancora fermo al vecchio metodo dell’attualizzazione dei flussi futuri di reddito. Se l’impresa produce reddito e se sono in grado di fare valutazioni più o meno attendibili dei flussi di reddito attesi per i prossimi enne anni, dato un determinato tasso di attualizzazione, giungo alla determinazione di un valore almeno approssimato, ritenendo che un potenziale compratore farebbe un ragionamento più o meno simile, fermo restando che fra chi compra e chi vende c’è sempre una sostanziale differenza di opinioni, ma che molto spesso è più un fatto commerciale che non di valutazione oggettiva. Quindi, sono ancora orientato a ritenere che determinanti ai fini della valutazione sono l’esperienza, il buon senso e la capacità di situare la valutazione nel contesto di mercato in cui la vendita potrebbe essere effettuata. La cosa è tanto più vera perché, ultimamente, si è giunti a una super sofisticazione delle valutazioni, in base alla quale la risposta alla domanda “Quanto vale quell’impresa?” può essere data in pochi secondi. Avrete sentito parlare del metodo dei multipli: se ho un’azienda tessile che fa prodotti di lana, avendo saputo che negli ultimi due anni nel mondo sono state vendute cinquanta aziende di quel tipo e che, raffrontando il patrimonio o il fatturato con il prezzo, la media dà un multiplo di enne, applicando questo multiplo, valuto subito quello che potrebbe essere all’incirca il valore e quindi il prezzo. Però, se è vero che tutti i super trattati possono essere messi da parte, anche il metodo dei multipli può essere adottato soltanto come prima idea ma necessita di un approfondimento per tradursi in strumento operativo. In ogni caso, c’è sempre una possibile divergenza fra la valutazione e il prezzo. Per tradurre un valore in un prezzo occorre una negoziazione in cui entrano anche elementi che con il valore dell’impresa non hanno nulla a che fare. C’è forse un solo esempio in cui coincidono: il prezzo di borsa. È indubbio che se in questo momento ci chiedessimo quanto vale la Fiat, basterebbe guardare su Televideo quanto è valutata l’azione Fiat oggi a questa ora e, sapendo che esistono in circolazione enne azioni Fiat, potremmo fare la moltiplicazione e avere il valore della Fiat. Ma fra due minuti quel valore sarebbe già cambiato e domani potrebbe essere cambiato ancora di più e essere più o meno diverso da quello di ieri. Quindi, neanche il valore di borsa assicura, se non istantaneamente, la coincidenza valore prezzo.
Prima giustificazione della scelta del reddito come strumento di riferimento per la valutazione dell’impresa: ritengo che il reddito sia la migliore sintesi di tutte le principali variabili che condizionano il valore di un’impresa. Seconda giustificazione: se le mie idee sono valide, l’impresa ha un valore che è quello di tutta l’impresa, comprese le attività materiali e immateriali. Conseguentemente, non credo che si possano valutare separatamente avviamenti, marchi, brevetti, capitale umano e altre cose di questo genere, per poi sommarle e dedurre il valore dell’impresa. Credo invece che, una volta determinato il valore di un’impresa, si possano scorporare parte di questi valori, per esempio, quando diventano oggetto di valutazione destinato alla vendita. Se un imprenditore vende alcuni brevetti, essi hanno un prezzo che non c’entra con il valore dell’impresa, ma con l’utilizzazione che essi avranno presso chi li acquista.
Tutte le mie riflessioni portano a una serie di esempi concreti che riguardano sia il mondo dell’industria sia quello della banca sia quello delle compagnie di assicurazioni sia quello del no profit. Credo di avervi dato qualche idea. Chi vuole saperne di più può leggere il mio libro, ma intanto vi ringrazio per la cortesia che mi avete riservato.