La Città del Secondo Rinascimento

Numero 31 - La libertà, l'arte, l'impresa

Vittorio Borelli
direttore del marchio Century (Gruppo Fincibec) e presidente Commissione Attività Promozionale e Fiere di Confindustria Ceramica

NEGOZI MONOMARCA E ALTRE STRATEGIE SUI NUOVI MERCATI

Fincibec è uno dei gruppi che maggiormente hanno contribuito alla leadership mondiale del distretto. Quando è incominciata l’attività e quali sono state le principali novità che ha introdotto nel settore nel corso degli anni?

L’attività del Gruppo, all’epoca denominato Cibec, è iniziata sul finire degli anni sessanta e consisteva nella produzione di macchinari e impianti per ceramica: fabbricava linee di scelta, mulini per l’impasto, silos di stoccaggio, impianti di macinazione, atomizzatori e macchine per la decorazione dei prodotti. A questa esperienza, intorno alla metà degli anni settanta, fu affiancata un’azienda per la produzione di ceramica con il nome di Monocibec, che fu tra le prime a cimentarsi nella produzione di gres porcellanato – un prodotto non smaltato, a tutto impasto e indirizzato al segmento della cantieristica – e in seguito nella produzione di monocottura in pasta bianca. Il passaggio dalla bicottura alla monocottura in pasta bianca assicurava diversi vantaggi come la riduzione del ciclo di cottura che abbreviando l’intero ciclo di produzione dava origine a minori costi industriali. All’epoca fu una scommessa, perché si trattò d’introdurre sul mercato un prodotto del tutto nuovo, ma che da lì a pochi anni si sarebbe imposto, in quanto tecnicamente migliore e meno costoso. Il gres porcellanato, sia smaltato che a tutta massa, è il prodotto che ancora oggi fabbrica il distretto, e noi, essendo stati i primi, ne abbiamo tratto i dovuti vantaggi.

Attualmente, però il Gruppo annovera anche altre realtà produttive...

Accanto alla produzione di monocottura e di gres porcellanato di Monocibec, il marchio madre di tutto il gruppo, furono acquistati altri due stabilimenti, uno denominato Naxos e specializzato nella produzione di monoporosa in pasta bianca (prodotto utilizzato per i rivestimenti), e l’altro, Century, che è stato trasformato per lo sviluppo di gres porcellanato tecnico, una tipologia di gres a tutto impasto e non smaltato, indirizzato a impieghi più gravosi in cui è richiesto un prodotto a resistenza totale.

Con una quota export del 60 per cento circa, confermate la vocazione che è sempre stata del distretto. Quali sono state le politiche del brand seguite in passato per conquistare queste quote di mercato e quali sono gli orientamenti per l’avvenire? In che modo è stato valorizzato il made in Italy?

In termini generali, per affermare il nostro prodotto made in Italy abbiamo adottato la strategia che ha seguito tutto il settore. Un esempio è l’attività che svolge Confindustria Ceramica con il marchio Ceramic Tiles of Italy, rilasciato a coloro che sottoscrivono un codice etico, dichiarando la provenienza di fabbricazione del prodotto. Sul piano specifico, per imporre i nostri brand alla clientela internazionale, abbiamo sempre puntato sulla qualità sia tecnica che estetica della nostra offerta: parliamo di prodotti all’avanguardia, sicuri e resistenti, che rispondono ai requisiti dell’indicazione ISO 9001. Oltre alla qualità tecnica, abbiamo sempre curato l’estetica, con un occhio di riguardo a tutto ciò che il patrimonio culturale italiano rappresenta.

Esistono politiche orientate a incentivare il valore aggiunto del made in Italy nell’avvenire?

Se fino a pochi decenni fa il fattore produttivo era il più importante, in quanto c’era una richiesta molto elevata, spesso superiore alla produzione, oggi, in un’epoca in cui la produzione è superiore rispetto alla domanda, il marketing prende il sopravvento. S’impone perciò la necessità di potenziare i marchi, con una significativa attività di promozione del prodotto a supporto della vendita. In un primo tempo, si è cercato di consolidare i rapporti con i distributori e i rivenditori specializzati, dando loro il know-how necessario per vendere il prodotto. Se oggi i tre quarti della produzione si riversano sul segmento della ristrutturazione, c’è da considerare che il privato sceglie un prodotto di qualità più elevata e ha l’esigenza di avere a disposizione un rivenditore specializzato che possa dargli tutti i consigli per trattare questo tipo di prodotto. In un secondo tempo, abbiamo assistito alla creazione di vere e proprie joint-venture con i distributori sui mercati più strategici dove poter avere il prodotto posto in loco consentiva notevoli vantaggi logistici e perciò una più facile affermazione del prodotto italiano. Se l’intero distretto sta seguendo questa modalità su larga scala, noi ci stiamo interessando a portare avanti queste iniziative, con il fine di aprire negozi monomarca per la distribuzione del prodotto nei mercati più lontani e più ricettivi come l’Estremo Oriente o il Nordamerica.

Ci sono quindi orientamenti che si avvicinano al mondo della moda: il distretto di Carpi era considerato in declino fino a qualche anno fa, ma è ritornato in auge soprattutto grazie alla politica del brand...

Esattamente.

Made in Italy vuol dire non solo fabbricato in Italia, ma frutto della tradizione e dell’innovazione di un distretto. Com’è nata, nel caso di Sassuolo, questa specificità?

Molti studiosi considerano alle origini del distretto un surplus di denaro proveniente dall’attività agricola, che venne investito nelle prime fabbriche di maioliche e di ceramica, anche per la presenza di alcune cave di argilla in loco. Sulla scia di uno spirito imitativo, tipico dei distretti, alle prime fabbriche fecero seguito altre e si creò la “moda” di aprire ceramiche. C’erano le famose gare dei cittadini sassolesi, che si ritrovavano al bar e in brevissimo tempo decidevano di aprire una fabbrica. E così è stato un continuo crescendo di tecnologia e know-how che ha dato vita a una spirale virtuosa grazie a cui si sono raggiunti livelli di assoluta eccellenza, arricchiti ulteriormente dall’ingresso di alcune importanti firme, che hanno portato grandi innovazioni nel design, nell’estetica dei prodotti e nel gusto. E questo ci porta ancora una volta al paragone con la moda.