La Città del Secondo Rinascimento

Numero 31 - La libertà, l'arte, l'impresa

Ivonne Capelli
coordinatrice e membro del CdA di Villa Giulia, Pianoro (BO)

LA FAMIGLIA E L'IMPRESA NEL SETTORE DELLA SALUTE

Filomena Salieri, sua madre, è il presidente del CdA di Villa Giulia e insieme alla famiglia gestisce, con esperienza e capacità che provengono da tanti anni trascorsi sul campo a contatto con gli ospiti, questa struttura socio assistenziale per anziani autosufficienti e non. Com’è avvenuta nella vostra esperienza la combinazione tra famiglia e impresa?

Nel 1966 mia madre incomincia a dedicarsi al settore assistenziale, lavorando la notte nelle corsie degli ospedali — di giorno deve seguire la famiglia e far crescere i figli, Marco e io —, dove apprende tantissime nozioni infermieristiche. Quando io e Marco raggiungiamo l’età scolare, lei ha la possibilità di lavorare di giorno e inizia così la sua esperienza in casa di riposo. Trova l’occupazione così gratificante che nel 1974 rileva la struttura Villa Mimosa, a Bologna, gestendola personalmente con l’aiuto del marito, Mauro Capelli, ancora occupato nel proprio lavoro, e di noi figli di 11 e 13 anni.

A quei tempi l’imprenditoria femminile non era stimolata o supportata in qualche modo, ma la signora Mina (diminutivo di Filomena), senza timori, con tanta dedizione e tanto amore, fa rifiorire Villa Mimosa. Naturalmente non esistono, in quel periodo, ferie o giorni di riposo e noi figli riusciamo a ritagliare qualche momento di vacanza con amici o parenti.

Nel 1979, per motivi di salute, mia madre è costretta a vendere la struttura e, dopo un breve periodo di convalescenza, riprende il suo cammino come direttrice di un’altra casa di riposo, a San Lazzaro di Savena, alle porte di Bologna. Dopo pochi anni, si rende conto che sta lavorando come se fosse lei il gestore. E, finalmente, nel 1986, rileva l’attuale Villa Giulia di Pianoro. “I sacrifici non sono mancati, e non mancano tuttora — ripete —, ma si fanno volentieri vedendo crescere l’impresa e la famiglia”. Infatti, l’impresa di mia madre vede ora anche noi figli, come pure il marito, all’interno del CdA quali consiglieri.

Nel vostro caso si è posto il cosiddetto “problema del passaggio generazionale dell’impresa”?

No. Noi figli abbiamo, fin da bambini, tratto dall’esperienza intrapresa da nostra madre tanti valori, per esempio il rispetto per gli anziani, la saggezza dei loro racconti, l’impegno per un lavoro che concede ai ragazzi poco tempo per svago e divertimento, ma sicuramente un bel passatempo, sano e formativo. Per noi è diventato anche un lavoro. L’impresa infatti è attualmente costituita, sia a livello di capitale sociale che di direttivo, dai quattro componenti familiari. Risulta così un’impresa a passo con i tempi, pur mantenendo la tradizione di famiglia.

Come crede sia stato possibile ciò?

In questa bella avventura sono state determinanti la forza e la capacità di trasmettere amore al prossimo tipiche di mia madre, che, dopo quarant’anni, può ben meritarsi la medaglia d’oro al lavoro, in un settore, quello degli anziani, che tutti mettono in discussione e di cui pochi preferiscono occuparsi. Fino al momento del bisogno. Ma la signora Mina ha saputo dare amore indistintamente a tutti coloro che soffrivano e ha fatto della sua vita una vera missione, senza bisogno di andare in Africa, ma rimanendo qui, in città, a Bologna.