Numero 31 - La libertà, l'arte, l'impresa
Matteo Scaglietti e Francesco Terrano
avvocati, soci dello Studio di consulenza in proprità intellettuale F&M, Modena
LA TUTELA GIURIDICA DELLA CREATIVITÀ
Durante il dibattito del convegno I distretti del made in Italy nell’era della globalizzazione (19 settembre 2008, Confindustria Ceramica), lo studio F&M ha espresso alcune considerazioni in merito al made in Italy nel settore ceramico...
Come ricordava il presidente di Confindustria Ceramica, Alfonso Panzani, le imprese ceramiche italiane sono costrette a essere molto creative, soprattutto in un momento in cui la competizione non può più essere efficacemente sostenuta sul versante quantità-prezzo, ma le imprese devono piuttosto puntare sulla qualità, l’innovazione e il design. È vero dunque che l’impresa italiana ceramica è diventata una fonte privilegiata di creatività, ma è altrettanto vero che c’è ancora poca consapevolezza sulla necessità di tutelare i risultati della creatività stessa. E non farlo significa porre in essere ingenti sforzi economici che poi necessariamente avranno una scarsa redditività. Non tutelarsi con marchi, design e brevetti sarà come partire in pole position in una gara automobilistica con gli altri concorrenti attaccati a traino alla propria vettura.
Questo dunque un primo spunto di riflessione che il nostro Studio ha apportato al convegno.
In secondo luogo, abbiamo ricordato, a chi lamentava le scarse ispezioni doganali ai confini della Comunità Europea verso i prodotti contraffatti in entrata, che, purtroppo, data l’enorme mole di merce in transito, un monitoraggio totale è pressoché impossibile. Ciò che l’imprenditore può (e dovrebbe) fare è collaborare con le dogane attivando la cosiddetta sorveglianza doganale. Tale servizio di sorveglianza può essere uno strumento di potenziamento della capacità reattiva delle dogane e un’ottima misura di prevenzione e repressione della contraffazione per l’impresa.
Infine, rispetto alla questione del “made in”, abbiamo ricordato che la discussione circa l’obbligatorietà o meno della stessa indicazione è ancora aperta a livello comunitario. La problematicità della soluzione a questo quesito dipende dalla difficoltà di trovare una formula di compromesso che concili le esigenze di diversi paesi membri della CE, con diverse “situazioni” produttive. Insomma, si tratta di far quadrare il cerchio tra chi ha delocalizzato e chi, come il nostro paese, mantiene a tutt’oggi una forte tradizione artigianale e produttiva nostrana. Peraltro, bisogna fare molta attenzione, perché il tema dell’obbligatorietà o meno dell’indicazione “made in” potrebbe rivelarsi un falso problema. Infatti, si sta erodendo a monte, o potrebbe già essere stato eroso, il concetto stesso di “made in”. Il problema è quello per cui a livello legislativo (e precisamente a livello di codice doganale comunitario) sembrano essere mutati i criteri in base a cui un bene può dirsi prodotto in un paese piuttosto che in un altro. Infatti, la vecchia normativa prevedeva che “una merce alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi è originaria del paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione”.
Oggi, invece, la regola è che “le merci alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione sostanziale”. Per capire qualcosa di più bisognerà attendere i regolamenti di attuazione del codice comunitario, ma il rischio reale potrebbe essere che il “made in Italy” perda il suo vero significato e che perciò questa formula sia utilizzata anche da quegli imprenditori che eseguono (strumentalmente) una piccolissima parte del processo produttivo in Italia, mentre il resto avviene all’estero.
Confindustria Ceramica ha ideato il marchio Ceramic Tiles of Italy. Quali sono i vantaggi per le aziende che possono utilizzarlo?
Il marchio Ceramic Tiles of Italy potrebbe avere una grande utilità. E ciò proprio per sopperire al fatto che l’italianità di un prodotto con indicazione “made in” potrebbe essere non più garantita dalla sola indicazione di “made in Italy”. Tale marchio dovrebbe essere a disposizione di quegli imprenditori che rispettano determinati requisiti nella loro produzione e dovrebbe svolgere una funzione di garanzia rispetto a determinati accorgimenti produttivi.
Per tutelare marchi del genere, lo strumento giuridico più adatto è quello del marchio collettivo, di titolarità di un ente, che raggruppa tutti i produttori di un settore specifico. Il marchio collettivo dovrà essere dato in uso esclusivamente a quei soggetti la cui produzione rispetti le qualità precisate nel cosiddetto regolamento disciplinare d’impiego che accede al marchio collettivo stesso. L’ente titolare del marchio ha il potere e il dovere di verificare se esso è utilizzato in modo opportuno dai soggetti autorizzati. Quindi, il marchio collettivo può ben operare anche per garantire una certa origine geografica. Ovviamente l’importante sarà poi comunicare questo marchio (e la sua funzione di garanzia) in modo debito.