La Città del Secondo Rinascimento

Numero 33 - La crisi e la riuscita

Paolo Moscatti
presidente di Tec-Eurolab, Campogalliano (MO)

NELLA TEMPESTA, OCCORRE UN EQUIPAGGIO DECISO E AFFIATATO

Alla Tec-Eurolab si rivolgono rinomate aziende di tutto il mondo per avere la garanzia che i materiali di cui sono costituiti i loro prodotti rispondano ai requisiti richiesti dalle loro performance. Per fornire questo servizio, quanto è importante il capitale intellettuale di chi lavora nel vostro laboratorio di eccellenza, oltre alle più avanzate tecnologie di cui esso è dotato?

In un’azienda di produzione, per la qualità dei manufatti possono essere sufficienti le tecnologie, le competenze tecniche dei collaboratori e una buona organizzazione interna. In un’azienda come la nostra, invece, dove si produce un servizio che è veicolato da una relazione scritta o, molto spesso, dall’incontro con il cliente, ciascun componente dell’organizzazione deve essere fortemente partecipe della missione d’impresa. E questo riguarda anche coloro che non sono a diretto contatto con il cliente, ma che devono mettere i colleghi in condizione di affrontare il cliente nel modo giusto.

È un grande senso di responsabilità all’interno della compagine aziendale che richiede modelli di relazione anche tra le parti sociali che compongono l’impresa, ma che oggi non abbiamo e sono da inventare completamente. E non si tratta solo di prevedere incentivi o adeguamenti dello stipendio alla produttività o contrattazioni di secondo livello, tutte acquisizioni ottime da portare in azienda, ma assolutamente insufficienti per un nuovo approccio all’impresa, per un’impresa pronta a combattere sul mercato con tutte le sue forze e non solo con quella finanziaria o di direzione che può dare l’imprenditore.

Capire questo è essenziale. Ma siamo pronti? No. C’è da fare un grande lavoro all’interno dell’azienda. Ci sarebbe da fare anche fuori, ma sono meno fiducioso. L’imprenditore, invece, all’interno della propria azienda, ha la possibilità di farlo, magari anche con un po’ di creatività. Mi spaventa l’idea che si debba portare in tutte le aziende lo stesso modello e che gli imprenditori credano che una buona contrattazione risolva questi problemi, come se bastasse che un collaboratore lavori nove ore anziché otto, limiti gli sprechi di materiali nella produzione e magari dia anche qualche idea all’imprenditore per avere qualche vantaggio a fine mese. Ma non è tutto qui. È molto di più.

Si tratta d’instaurare differenti dispositivi tra collaboratori, con i collaboratori e con i clienti, sempre ispirandosi alla missione aziendale. Il lavoro che lei sta facendo nell’azienda e anche all’esterno è un esempio di riuscita in questo senso, perché c’è sempre lo sforzo affinché ciascun progetto sia portato a compimento, coinvolgendo il maggior numero di persone possibile…

La riuscita deve riguardare l’intera azienda e addirittura l’intero territorio, non l’imprenditore o il politico. Da molti anni si parla di missione e di visione aziendali, ma occorre molta più consapevolezza se vogliamo che i collaboratori ci aiutino a raggiungere la missione corrispondente alla visione imprenditoriale. Occorre valorizzare il patrimonio intellettuale e le persone che lo mettono in atto. Abbiamo il know-how tangibile, scritto nelle procedure, ma anche quello insito in ciascuna persona e nelle relazioni che s’intrecciano in azienda. Ciò che caratterizza il clima aziendale in momenti di tempesta come quello attuale è determinante. Andare nel mare in burrasca con un equipaggio deciso e affiatato, i cui membri s’incoraggiano a vicenda, pur mantenendo lucidità critica nei confronti dell’operato di ciascuno, è diverso che andarci con un equipaggio in cui vige il principio della delega, in cui ognuno si permette di dire: “Il tale o il talaltro aspetto non è mio compito, ci penserà il capitano”.

Oggi più che mai – anche per contrastare il bombardamento mediatico che come sempre amplifica il negativo e certamente non dà notizia delle aziende che lavorano, ma solo di quelle che chiudono –, influenzare il clima aziendale è molto importante e fa parte di quelle competenze relazionali che l’imprenditore deve acquisire. Dovremmo fare il possibile per portare un po’ di entusiasmo anche al di fuori dei cancelli dell’azienda, affinché i collaboratori, quando sono esposti all’ambiente esterno, non lo perdano completamente ma ne portino con sé una piccola riserva per ripartire il giorno dopo.

Oggi, accanto al tema della riuscita, si pone la questione di capire quale economia e quale finanza occorre per le nostre imprese...

Qui c’è il macigno nella scarpa: la finanza non può più essere senza regole. Ci hanno fatto credere addirittura che poteva esistere la finanza senza le imprese e che il paese doveva deindustrializzarsi. Ma, come abbiamo potuto constatare, non esiste finanza senza impresa, è l’impresa che crea valore. Allora, oggi occorre produrre valore per finanziare l’avvenire delle imprese e instaurare il circolo virtuoso della ricchezza che deve, poi, essere resa disponibile anche al territorio. In questo momento, gli istituti di credito che vanno per la maggiore e sono in grado di affiancare le aziende con proposte costruttive sono le piccole casse rurali, che hanno sempre avuto un’economia di territorio, curando i risparmi dei soci e reinvestendoli nelle aziende del posto con piccoli prestiti. La finanza dev’essere espressione di quello che fa il territorio e dev’essere al suo servizio. Oggi c’è un forte risentimento verso gli istituti di credito che hanno perso completamente le radici con il territorio e cercano di rispolverare vecchi slogan: sono quelli che ci hanno abbandonato, quelli che a fronte di una richiesta di finanziamento ci chiedevano garanzie tre volte superiori e poi sperperavano centinaia di milioni di euro in operazioni finanziarie non meglio identificate.

È la rincorsa del successo a tutti i costi, del successo facile e dei guadagni facili. Ma questo non ha niente a che fare con la riuscita, con lo sforzo, con la direzione verso la qualità…

Hanno rovinato una generazione, forse anche più di una. Con il messaggio di grandi manager che guadagnano cifre astronomiche, un giovane che studia economia quale idea può farsi del proprio futuro? Da troppi anni, la comunicazione e la pubblicità si fanno complici di questi falsi idoli, è ora che si rendano conto che siamo anche stanchi. Ciò che bisogna fare è esaltare il desiderio e il sogno, il progetto e il programma di vita di ciascuno. Sta qui la chiave della riuscita ed è proprio in questo che abbiamo deciso d’investire.

Per fare un esempio, abbiamo mandato un ragazzo in California con una borsa di studio del progetto Fullbright. È stato sei mesi nella Silicon Valley per lavorare su un progetto imprenditoriale per le nanotecnologie: un piccolo MBA tecnologico, in cui si studiano argomenti che vanno dal marketing a materie più tecniche legate al prodotto e poi si simula la realizzazione di un prodotto nuovo e il modo con cui lanciarlo sul mercato. È entusiasmante il fatto che da progetti come questo sorgano poi vere e proprie relazioni, che permettono ai giovani di appassionarsi e di far nascere il desiderio e il sogno.