La Città del Secondo Rinascimento

Numero 33 - La crisi e la riuscita

GIOVANNI ZACCANTI
IMPRENDITORE

PROSEGUIRE PER OTTENERE RISULTATI

Giovanni Zaccanti, imprenditore bolognese fondatore della Saeco, ha una lunga storia da raccontare…

Fin dagli anni settanta, avevo l’idea di costruire qualcosa. Penso che ciascun ragazzo sin da quando frequenta la scuola abbia un’idea di quello che vuole fare. Mentre frequentavo l’istituto tecnico, mi chiedevo già dove aprire una piccola officina nel mio paese, Gaggio Montano. La storia è incominciata proprio da lì, da un piccolo paese di montagna dove le attività prevalenti erano quelle agricole e dove ottenere un impiego pubblico era già un successo enorme. Essendo figlio di un impiegato comunale, mutilato e orfano di guerra, io avevo diritto a un lavoro in comune, ma dopo sette giorni in cui avevo frequentato l’ufficio di mio padre capii che non era il mio posto. In quegli anni abbandonare un ufficio pubblico per qualcos’altro era una sfida. Ma questa è stata la mia partenza. Dopo alcuni anni da dipendente in una ditta, intrapresi un’attività al piano terra della casa, in cantina, dove producevo componenti meccaniche di piccolo taglio. Ho incominciato come molti artigiani, che sono la spalla più importante dell’Italia e che crescono ciascun giorno lavorando incessantemente. La mia bottega, oltre a servire per la produzione, era il laboratorio in cui venivano sviluppate le idee. Nello stesso periodo, lavoravo come responsabile di produzione di un’azienda meccanica, dove sono stato per circa sette anni. Poi ci fu la grande svolta dell’attività industriale, che esigeva un impegno eccezionale.

Com’è avvenuto il passaggio dalla bottega all’impresa?

Nella mia esperienza di vita e di lavoro, ho incontrato persone che hanno scommesso con me sul progetto Saeco e con loro ho avviato l’azienda che costruiva macchine da caffè. Io mi occupavo della parte industriale, quindi del controllo dei progetti, della produzione, dell’organizzazione della produzione, delle linee di montaggio, dei magazzini e della logistica. Siamo partiti da una piccola macchina per la casa, poi abbiamo proseguito con macchine per l’ufficio e siamo andati avanti con macchine per il settore professionale fino ai distributori automatici. Questo progetto si è sviluppato giorno per giorno, c’è stata una lunga sequenza di attività e progettazioni, frutto della nostra idea di quello che potevano essere le macchine da caffè nel mercato mondiale. Il notevole successo di Saeco è dovuto alla grande attenzione al mercato e alla qualità, ma soprattutto all’innovazione.

Non dimentichiamo che quel primo progetto di macchina da caffè automatica è stato unico per vent’anni, solo dopo se ne sono avvalsi altri. Poi, è accaduto che, essendo Saeco una società, vari soci decisero di cederla a un fondo. Io ho poi proseguito l’attività insieme ad altri, lavorando su un progetto per una capsula da caffè da inserire nel mercato con vari prodotti come caffè, latte, the, cioccolato e orzo.

Si tratta della nuovaa proposta di Caffita che sta dando i primi risultati e che avrà una grande valenza per il futuro.

Lei è anche presidente della Pezziol. Come avviene l’integrazione fra le due società?

Nel 2007 nasce l’opportunità di acquistare un’azienda storica di Parma nel settore alimentare, leader nella qualità di prodotti derivati dal pomodoro. Si tratta di un mercato difficilissimo in cui Pezziol sta però posizionandosi a un livello medio alto garantendo, come è avvenuto per i prodotti Saeco e Caffita, un’alta qualità.

Lei dà testimonianza con il suo operato di un imprenditore che integra ambiti differenti puntando sempre alla qualità, invece spesso si pensa che la qualità sia garantita dalla specializzazione in un settore…

Per un imprenditore, la cosa più importante è costituire la squadra. Le squadre di Saeco, di Caffita e di Pezziol sono vincenti solo se le persone che lavorano nei vari ambiti delle aziende hanno le specializzazioni, la preparazione e la costanza di capire e di lavorare al meglio nel settore in cui operano. Quindi è possibile creare un’azienda meccanica, alimentare o di qualsiasi altro tipo, purché ci siano le competenze e si diano obiettivi chiari, tenendo conto che possono essere modificati in corso d’opera. Occorre essere preparati e vigili nell’azienda, perché ciascun giorno al suo interno cambia qualcosa. Ciascun settore ha bisogno di essere monitorato, verificato e studiato attentamente. L’azienda è come un motore in movimento che ogni giorno ha bisogno d’innovazione, di miglioramenti, perché quello che andava bene il giorno prima non è detto che vada bene il giorno dopo. Questa è la grande attenzione che deve avere un imprenditore: non può pensare di lasciare che l’azienda funzioni da sola, perché la concorrenza è spietata e occorre massima attenzione verso ciò che chiede il mercato.

Il made in Italy indica che l’imprenditore è leader di ciascun aspetto dell’esperienza, invece c’è chi ritiene che occorra il manager specializzato nei vari settori…

Io credo che la nostra cultura sia ancora diversa. La cultura d’impresa non ha niente a che vedere con quella dei manager. Il manager ha una visione limitata a un breve lasso di tempo di ciò che può accadere nell’azienda, mentre l’imprenditore ha una visione molto più attenta e a lunga scadenza. Questa è la grande differenza. La gestione d’impresa ha bisogno di un’attenzione e di una valorizzazione di tutto ciò che è l’impresa, non settoriale ma globale, perché ciascuno dei vari settori fa parte di un’unica impresa.

Si parla tanto di crisi, ma in questo numero del giornale sono interpellati imprenditori che puntano alla riuscita. Cosa pensa di questa crisi?

Ciascuna impresa ha una sua storia, perciò non è facile interpretare il suo disegno. Credo, però, che possano riuscire le imprese che hanno una prospettiva a lungo termine e solide basi di prodotto di qualità. Ci sono momenti in cui, se l’imprenditore punta solo al profitto, può pensare di mollare tutto, se però crede nel progetto, occorre che lavori e investa tutto ciò che ha perché il progetto riesca: questo è ciò che è accaduto a noi.

Occorre credere nel progetto e non abbandonare il campo alla prima difficoltà, ma proseguire per ottenere risultati.

Cosa pensa del ruolo delle banche in questo momento?

L’apporto delle banche è fondamentale. Ci sono momenti in cui le banche aiutano e momenti, come questi, in cui le banche purtroppo chiudono la porta, ma bisogna trovare alternative e alleanze. Fra imprenditori ci sono e possono esserci grandi sinergie per proseguire, perché aiutare qualcuno che oggi non va bene vuol dire avere un alleato domani quando le cose possono andare meglio.